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WWF. ‘Living Planet Report 2010’: nuovo pianeta cercasi

(Rinnovabili.it) – Nuovo Pianeta cercasi. Suona più o meno così l’appello lanciato dal WWF in seguito alla pubblicazione del “Living Planet Report 2010”:https://www.wwf.it/UserFiles/File/News%20Dossier%20Appti/DOSSIER/Sostenibilit/LPR_2010_BASSA_def.pdf, il documento che l’Associazione elabora ogni due anni per chiarire le condizioni di “salute” della Terra e che, anche quest’anno, disegna un panorama piuttosto critico: continuando con questo stile economico in due decenni potremmo avere bisogno, in termini di risorse necessarie, di un altro Pianeta. La domanda di risorse continua a crescere e la Terra non ha il tempo necessario di rigenerarsi; l’impronta ecologica, ossia l’area di cui ha bisogno ciascun abitante per far sì che le risorse utilizzate possano rigenerarsi, è sempre più pesante e le biodiversità stanno subendo danni irreversibili. Il documento riporta che dal 1966 la domanda di beni naturali è raddoppiata, e siamo arrivati *a consumare l’equivalente di quanto prodotto da 1,5 Pianeti.* Modelli di consumo e di produzione insostenibili, quindi, stanno minando la salute dell’umanità del Pianeta compromettendo la sopravvivenza del 70% delle specie acquatiche e abbassando del 60% i livelli delle biodiversità dei paesi a basso reddito in meno di 40 anni, arco di tempo in cui l’impronta di carbonio è cresciuta di 11 volte. “I paesi che mantengono alti livelli di dipendenza dalle risorse naturali stanno mettendo in pericolo le loro stesse economie – ha commentato Mathis Wackernagel, presidente del Global Footprint Network durante la diretta per la presentazione dei dati contenuti nel documento – I paesi che riescono a garantire la migliore qualità di vita con la minore pressione sulla natura non solo aiuteranno gli interessi globali, ma saranno leader in un mondo dalle risorse sempre più ristrette”.
I danni maggiori sono causati dalle economie più sviluppate, la cui negligenza va ad impattare soprattutto sulle economie in via di sviluppo che ne subiscono le conseguenze, messe a dura prova anche dalla crescita dell’impronta dell’acqua definita _virtuale_, vale a dire non sono quella consumata ma anche quella contenuta nei prodotti del commercio internazionale. In conclusione si è rilevato come i 31 paesi dell’OCSE, l’organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico che include le maggiori economie, risultano *responsabili del 40% dell’impronta ecologica totale,* ad eccezione della Moldavia, unico paese che rientra limiti mentre in fondo alla classifica troviamo Afghanistan, Bangladesh e Timor-Est.

Per orientare i governi verso scelte che conducano alla maggiore sostenibilità economica e ambientale di ciascun paese il WWF ha pensato bene di redigere e diffondere un “decalogo”:https://www.wwf.it/client/render.aspx?content=0&root=6242 per un futuro migliore. Controllare i consumi, quindi, servirebbe a ridurre l’impronta ecologica delle nazioni a 1,8 ettari pro capite contro gli attuali 9,5 degli Emirati Arabi e i 4,5 dell’Italia che nella classifica mondiale si piazza al ventinovesimo posto “Ciò dimostra chiaramente l’insostenibilità dei modelli economici sin qui perseguiti, basati su una crescita materiale e quantitativa continua “ha commentato Gianfranco Bologna, Direttore Scientifico del WWF Italia “Nella nuova economia ecosostenibile, il pensiero economico deve comprendere l’attenzione per gli esseri umani e per i sistemi naturali del Pianeta, tra di loro indissolubilmente legati”.

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