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Vivere senza auto

Il complesso dibattito sui nuovi criteri di mobilità sostenibile può prescindere dall’auto privata? Quali sono le soluzioni realistiche, anche se a lungo termine, per avviarci verso nuovi modelli sociali ed urbanistici?

L’uscita dall’attuale modello di mobilità richiede anche il cambiamento dei paradigmi della politica europea. Per sostenere la necessaria spesa pubblica, infatti, è necessario allentare gli infondati vincoli di Maastricht, e convincere Bruxelles ad abbandonare l’ossessione per le “grandi” infrastrutture di trasporto e dirottare quegli imponenti flussi di risorse verso i servizi e i sistemi urbani di trasporto alternativi all’auto.
Il che, tra l’altro, produrrebbe benefici macroeconomici maggiori e più immediati.

Più specificatamente ritengo che:
# La crisi dell’auto non ha solo una dimensione quantitativa da sovrapproduzione e che quindi non è sufficiente una politica di mero sostegno alla domanda (o all’offerta).
# Serve una politica di transizione che guidi l’industria dell’auto verso un nuovo assetto produttivo e che per farlo non bastano certo le forze del mercato, anche se spinte da sostanziosi incentivi pubblici.
# Questa transizione non deve trasformarsi in “macelleria sociale”, ma deve trattare la difesa del lavoro come questione centrale, ineludibile.
# La transizione non deve essere verso un nuovo modello di auto, più ecologico. Non è l’auto a combustione interna a essere in crisi per i danni sociali (innanzitutto sanitari), economici e ambientali che genera: è l’auto in quanto tale. Più esattamente è in crisi un sistema di mobilità centrato sull’auto di proprietà, che ha piegato alle sue esigenze lo sviluppo delle città, il consumo di territorio e la vita di tutti noi.
# La vera alternativa non sono dunque le auto ibride ed elettriche o le celle di combustibile; queste sono soluzioni che certamente dovrebbero trovare maggiore applicazione nelle flotte pubbliche e private (poste, servizi urbani, distribuzione delle merci, ecc.). Ma l’obiettivo della transizione deve essere un nuovo modello di mobilità urbana centrato su: più spazio e più sicurezza per gli spostamenti a piedi e in bici; crescita (il raddoppio?) del trasporto collettivo con treni, tram e autobus; diffusione delle forme condivise di trasporto (car sharing e bike sharing per le persone, city logistics per la distribuzione delle merci).
# E allora un’ennesima campagna di incentivi all’acquisto di auto “ecologiche” non solo non serve a sostenere il processo di transizione verso una nuova mobilità urbana, ma è addirittura controproducente. Come è già accaduto, il suo unico effetto sarà di aumentare il numero di auto in circolazione (e, dopo gli Stati Uniti, l’Italia è già prima al mondo), migliorare un po’ l’aria che si respira e continuare ad aggravare il contributo della mobilità agli squilibri climatici globali.

_Gerardo Marletto – Università di Sassari/Associazione Noauto.org_