L’appello è rivolto ai leader del gruppo dei G20, in previsione della riunione del mese di aprile: impegnarsi a destinare almeno l’1% del prodotto interno lordo nel corso dei prossimi due anni in azioni di riduzione dell’emissione di inquinanti. Con queste parole, oggi, giorno dell’anniversario del Protocollo Kyoto, l’Unep (Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente) torna a chiedere a grandi della Terra di mettere l’impegno nella lotta ai Cambiamenti Climatici al centro degli sforzi per riattivare l’economia mondiale. E lo fa proponendo un Global New Green Deal da 750 miliardi di dollari, provenienti dal Pil mondiale come unico mezzo in grado di affrontare tridimensionalmente la questione finanziaria, energetica ed alimentare. “Rilanciare l’economia mondiale è essenziale, ma le misure che si concentrano esclusivamente su questo obiettivo non otterranno mai un successo duraturo” spiega l’UNEP all’apertura del Forum Mondiale di Nairobi, in Kenya. La proposta arriva dalla relazione commissionata per conto dell’UNEP’s Green Economy Initiative al Professor Edward Barbier dell’University of Wyoming ed i risultati sono stati presentati oltre 100 ministri dell’ambiente del Forum keniota. Ovviamente alle economie più sviluppate – Stati Uniti, Unione Europea e i paesi ricchi dell’Ocse – va la parte da leoni mediante l’adozione di piani nazionali per ridurre l’uso di carbone, petrolio e gas, tramite l’eliminazione delle sovvenzioni ai combustibili fossili o attraverso ‘carbon tax’ o regimi cap-and-trade. Ai paesi emergenti come Cina, India, Brasile, Sud Africa e la Turchia la richiesta, nei limiti del possibile, di seguire la stessa strada, mentre per quelli in via di sviluppo “non ci si può aspettare operino lo stesso impegno nel taglio delle emissioni, ma devono spendere almeno l’1% del PIL per miglioramento dei servizi igienico-sanitari e l’accesso all’acqua potabile. “Non si tratta solo di mettere in piedi un’economia più ‘verde’ – avverte l’Unep – ma di fronteggiare minacce incombenti come il cambiamento climatico, l’insicurezza energetica e la penuria crescente di acqua dolce”.