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Una nuova equazione climatica per i polmoni verdi della Terra

(Rinnovabili.it) – Le zone umide, le foreste e i terreni agricoli svolgono un ruolo fondamentale nell’assorbimento della anidride carbonica; una proprietà che rende gli ecosistemi terrestri un vero e proprio freno al ritmo dei cambiamenti climatici ma che, se mal gestita, potrebbe allo stesso tempo rivelarsi un’arma. In uno studio pubblicato sulla rivista britannica Nature, un gruppo di scienziati della Northern Arizona University sostiene che un progressivo aumento dei livelli di CO2 nell’atmosfera e di conseguenza di quella stoccata nel terreno grazie all’attività delle piante, è in grado di attivare un aumento del rilascio di altri due gas serra molto più potente: il metano e il protossido di azoto.
Gli scienziati statunitensi hanno raccolto tutte le ricerche pubblicate fino ad oggi a partire da 49 esperimenti diversi per lo più in Nord America, Europa e Asia, e condotti in foreste, praterie, zone umide e campi agricoli, risaie comprese. L’analisi dei dati ha portato a due modelli previsionali: nel primo un quantitativo in crescita di CO2 avrebbe aumentato i livelli di protossido di azoto emesso dal suolo in tutti gli ecosistemi, nel secondo avrebbe determinato una fuoruscita considerevole di metano, ma solo a livello di risaie e zone umide. In altre parole il ritmo del riscaldamento globale potrebbe essere più veloce di quanto si pensasse.

I colpevoli di questo comportamento del terreno sono microscopici organismi specializzati presenti nel suolo che, per vivere, necessitano di nitrati e anidride carbonica, come l’uomo ha bisogno dell’ossigeno, ma producendo in cambio i due gas serra in questione. “Concentrazioni di anidride carbonica maggiori riducono il consumo idrico delle piante, rendendo i terreni umidi, riducendo a loro volta la disponibilità di ossigeno nel terreno e favorendo quindi i batteri”. “I nostri risultati suggeriscono che la capacità degli ecosistemi terrestri di rallentare il riscaldamento del clima è stato sopravvalutata”, spiegano gli autori. “Se abbiamo ragione, ciò significherebbe che gli attuali modelli climatici sottostimano questo effetto, non tenendo conto della quantità extra di ossido di azoto e metano che vengono prodotti”.

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