Rinnovabili

Taranto, con l’Ilva prima per inquinamento industriale

Diossine e furani, policlorobifenili (Pcb), mercurio, piombo o cadmio: composti chimici dal nome a volte impronunciabile e dagli effetti estremamente tossici, se non addirittura cancerogeni. Sono le emissioni industriali, quella porzione di veleni che ammorba l’aria di alcune zone italiane e a cui si vanno ad aggiungere gli inquinanti “classici” come le polveri sottili, gli ossidi di azoto e di zolfo o il benzene. E’ a quest’inquinamento che l’associazione ambientalista Legambiente dedica quest’anno Mal’Aria, “la campagna delle lenzuola bianche annerite dallo smog per chiedere centri urbani più vivibili”.
L’iniziativa ha preso il via con la presentazione del libro bianco “Mal’aria industriale” nel quartiere Tamburi di Taranto, sede del più grande polo siderurgico del nostro Paese e detentrice del triste primato di città industriale italiana con l’aria più inquinata. La città ionica si è aggiudicata la maglia nera soprattutto per ciò che concerne le emissioni di diossine e furani e di idrocarburi policiclici aromatici, che dai rilevamenti dell’Arpa Puglia tra maggio e agosto 2008, risultano essere più del 90% le prime (rilevate in una centralina a circa 6 km dallo stabilimento) e del 95% le seconde. Dai dati Ispra 2005 risulta inoltre che Taranto è la città (con oltre 150mila abitanti) con le maggiori emissioni di polveri sottili, più del doppio di quelle raggiunte da Roma.

In realtà i dati raccolti nel rapporto di Legambiente dimostrano un’urgenza di intervento sulla gran parte degli impianti industriali italiani. Secondo l’Inventario nazionale delle emissioni in atmosfera di Ispra, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, “nel 2006 in Italia l’industria ha emesso il 95% del totale dell’arsenico scaricato in atmosfera da tutte le fonti, il 90% del cromo, l’87% dei Pcb, l’83% del piombo, il 75% del mercurio, il 72% di diossine e furani, il 61% di cadmio. Sono stati emesse in atmosfera 388mila tonnellate circa di ossidi di zolfo (SOx), il 78% delle quali deriva da fonti industriali, soprattutto dalla produzione di energia, mentre il 15% è stato emesso dai trasporti non stradali, prevalentemente marittimi; poco più di 173mila tonnellate di polveri sottili (PM10), emesse per il 28% del totale dalle attività industriali e per il 27% dai trasporti stradali; oltre 1 milione di tonnellate di ossidi di azoto (NOx), il 44% dei quali derivanti dal traffico stradale, mentre il 25% è dovuto all’industria”.

Ecco perché Legambiente chiede innanzitutto all’industria italiana di investire in prodotti innovativi, ammodernare e mettere in sicurezza degli impianti, riconvertire i cicli produttivi più obsoleti, come previsto dalla normativa europea, “garantendo la qualità del territorio e la vivibilità dell’ambiente circostante, elemento che può contraddistinguere il nostro Paese sui mercati internazionali”. E nell’ambito di sforzo collettivo a Governo e Parlamento viene chiesto di rivedere il limite di legge in termini di tossicità equivalente sulle emissioni di diossina e furani, mentre alle Regioni e al ministro dell’Ambiente l’invito a mettere sul tavolo una serie di misure economiche e normative per adeguare allo standard europeo e statunitense il sistema dei controlli ambientali del Paese, fondato sulle attività delle Arpa e di Ispra.

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