Negli ultimi mesi la Regione Sardegna ha raccontato la sua necessità di cambiamento. L’ha raccontata a voce alta, spesso altissima.
Gli operai delle fabbriche che chiudono narrano di un progetto della chimica che alla Sardegna ha portato soltanto veleni ed un territorio in molte parti degradato, ben diverso dai panorami da cartolina della Costa Smeralda. Migliaia e migliaia di ettari di aree industriali ospitano cimiteri di cemento, fabbriche finanziate con i soldi di tutti gli abitanti ed ora abbandonate. La Sardegna ha però due risorse che segnano il suo territorio e che potrebbero essere la salvezza per il tessuto produttivo e per i lavoratori: il vento ed il sole. Queste due risorse sono sull’isola praticamente inesauribili. La ventosità media e l’irraggiamento particolarmente favorevole rendono molte aree della Sardegna idonee all’installazione di impianti per la produzione di energia con tecnologie consolidate: solare termico, solare termodinamico, eolico, solare fotovoltaico, in ordine di costo e d’importanza per lo sviluppo.
Ma non tutto può essere fatto ovunque. La condizione di isolatezza impone alla Sardegna la necessità di organizzare le proprie risorse territoriali in modo sensato, pensando anche ad un mondo sempre più globalizzato che ambisce conquistare spazi sempre maggiori per il turismo e per i servizi.
Questa isolatezza geografica e la lontananza dal “Continente” obbliga a programmare la produzione interna degli alimenti, dell’energia, dei materiali da costruzioni, di ogni altra cosa che sia oneroso trasportare dalla terraferma.
L’isola importa ogni anno il 68% del suo fabbisogno ortofrutticolo e il 70% del suo fabbisogno di carni. Importa legname da costruzione e per il fabbisogno domestico dalla Corsica e dalla Toscana, centinaia di migliaia di tonnellate di tronchi che attraversano il mare da una terra di boschi ad una terra di boschi che opportunamente sfruttati potrebbero dare calore ed energia e garantire lo sviluppo delle zone interne, territori spesso inesplorati per la mancanza di infrastrutture e di manutenzione.
In questi mesi si sono accesi in Sardegna insensati dibattiti sulla serricoltura fotovoltaica che rappresenta forse il solo sfruttamento logico della risorsa solare:non soltanto rappresenta una sfida ed un’opportunità per il territorio ma un’occasione di riqualificazione dell’agricoltura, di rilancio del mercato agroalimentare ormai vittima delle multinazionali del cibo.
Si tratta di una soluzione semplice, non diversa da una serra qualsiasi, fatto salvo l’ombraio che raggiunge il 50% della sua superficie. La serra fotovoltaica è però una vera e propria centrale di produzione dell’energia, il tetto a falda “cattura” i raggi solari e li converte in energia elettrica che viene immessa nella rete oppure consumata localmente per riscaldare e raffreddare la serra, per alimentare i processi produttivi e di trasformazione delle aziende agricole e rispondere al fabbisogno delle famiglie che le conducono.
Secondo alcuni ha però una “colpa” innata, quasi una sorta di peccato originale: poichè il GSE corrisponde un contributo a valere sul “conto energia” per gli impianti integrati o semintegrati come sono appunto le serre fotovoltaiche, superiore a quello di altre tipologie d’impianto, la realizzazione delle serre nasconderebbe una sorta di “truffa” speculativa.
Insomma volendo riepilogare:
* la Sardegna importa il 68% del suo fabbisogno ortofrutticolo, frutta e verdura hanno un prezzo più alto del mercato nazionale e discutibilmente legittimo, gli alimenti viaggiano prima su gomma, poi sono stivati nelle navi ed infine approdano sull’isola dove li attende un altro viaggio su gomma, con un contributo globale all’ambiente non certo positivo;
* la Sardegna produce energia da fonti non rinnovabili, i costi dell’energia sono tra i più alti d’Europa, le industrie sono in crisi, la produzione di energia è legata per il 96% alle fonti non rinnovabili, con i conseguenti impatti ambientali.
* la Sardegna ospita numerosi impianti serricoli di vecchia generazione ormai in disuso, i produttori agricoli attraversano una crisi profonda e non sono in grado di far fronte ai debiti accumulati.
Coloro che conducono una “battaglia” verso le serre fotovoltaiche sollevando lo “spauracchio” della speculazione forse non hanno tenuto conto di tutto questo.
La Sardegna però ha diritto di competere e di avvantaggiarsi del conto energia come e più di altre regioni più ricche, ha il diritto di far vivere e sostenere la produzione agricola locale, attraverso un sistema locale di regole che limiti al massimo le speculazioni finanziarie e massimizzi gli obiettivi sociali, occupazionali ed ambientali.