Rinnovabili

Serge Latouche, crescita infinita anche di inquinamento e intossicazione?

Vogliamo citare alcuni tra i passi interessanti di un’intervista all’economista Serge Latouche apparsa su “wuz.it”:https://www.wuz.it/intervista/3248/crisi-serge-latouche-sviluppo-decrescita.html, il sito di cultura e spettacolo, e oggi on-line corredata anche da due interessanti video. Il motivo di questa citazione è che l’economista, conosciuto per la “teoria della decrescita”:https://www.rinnovabili.it/decrescita-lopzione-per-un-futuro-sostenible-520000 ha toccato in modo interessante alcuni problemi che riguardano gli ambiti dell’efficienza e dell’utilizzo delle fonti rinnovabili per produrre energia ed ecco perché qui di seguito vi segnaliamo alcuni dei passi più significativi dell’intervista.
Latouche sostiene ad esempio che: “I cicloni, sempre più frequenti in questi anni, e sempre più gravi, (sono) conseguenza della deregulation climatica. Questi disastri pongono il problema di un pianeta in cattivo stato, devastato e non più vivibile, non più vivibile per noi, per l’umanità… L’obiettivo è invece quello di realizzare un maggior benessere generale, un sentimento di soddisfazione generale”.
“Noi abbiamo fatto della crescita una specie di parola feticcio che vale per tutto e porta con sé anche la crescita dell’inquinamento, delle malattie, dell’intossicazione, è un concetto perverso e assurdo perché viviamo in un mondo finito e come si può credere che avremo una crescita infinita?”
“… un’idea nuova di misurazione che l’occidente ha elaborato nell’ultimo secolo, cioè la felicità degli uomini misurata attraverso la crescita del PIL e identificata con la soddisfazione per la crescita dei consumi: consumate sempre di più e sarete più felici! Questo dimostra l’assurdità del concetto: consumare in modo illimitato è folle in un mondo in cui esistono dei limiti…”
“La decrescita, che sia chiaro, è uno slogan non un concetto, non è qualcosa di simmetrico alla crescita. La crescita è una specie di teoria, mentre la decrescita non lo è. Si tratta di uno slogan nato per spezzare in qualche modo la parola dominante, l’ideologia stessa della crescita…”.
“…Quando si dice che una crescita infinita non è possibile in un mondo finito, diciamo anche che tutti i problemi che conosciamo, ecologici, culturali, sociali, sono sorti con quella stessa idea, e bisogna uscire da questo meccanismo infernale. Per questo la parola decrescita ha un aspetto provocatorio…”
“Concretamente una società della decrescita poggerebbe su un cambiamento dell’immaginario, un cambiamento di valori perché non si baserebbe più sull’idea che l’uomo debba dominare la natura, produrre sempre di più, lavorare sempre di più, guadagnare di più per consumare sempre di più, consumare sempre di più per produrre di più…. Si potrebbe ristrutturare l’apparato produttivo per altre forme di produzione, cosa essenziale per la sopravvivenza del pianeta, attuare quello che gli specialisti chiamano l’impronta ecologista della produzione”.

“L’impronta ecologista indica, come è stato volgarizzato tempo fa dalle parole del presidente Chirac a Johannesburg, la valutazione della quantità degli spazi bioproduttivi che il nostro modo di vivere consuma: per nutrirci, vestirci, per usare le macchine abbiamo bisogno di terra e natura. Il pianeta è finito, lo spazio bioproduttivo, cioè quello che ci permette di vivere con quello che produciamo, è limitato… Il nostro modo di vivere supera del trenta per cento quello che è sostenibile e in più ci sono delle disuguaglianze insopportabili: se tutto il mondo vivesse come viviamo noi francesi avremmo bisogno di avere a disposizione tre pianeti da consumare. È importante e urgente cambiare: noi mangiamo il nostro patrimonio, viviamo sul nostro patrimonio, consumiamo in modo dissennato quello che la natura ha accumulato in milioni di anni, come ad esempio il petrolio, e tutti i principali minerali che non possono durare in eterno…”.
“Alcuni fondatori dell’ecologismo dicevano che stiamo accuratamente preparando l’avvento di una serie di catastrofi entro una quarantina d’anni. Se queste catastrofi non fossero così gravi da produrre la fine dell’umanità, ma abbastanza per risvegliarci, direi che potrebbero avere un carattere pedagogico. Negli ultimi anni abbiamo avuto una serie di catastrofi “pedagogiche”: l’esplosione del quarto reattore di Chernobil, ad esempio, ha avuto sicuramente un carattere pedagogico tanto che alcuni Paesi, tra cui l’Italia, hanno rifiutato il nucleare. Anche la Francia lo ha limitato e progressivamente pensa di abbandonarlo… Ugualmente la mucca pazza è stata una catastrofe, ma ha cambiato le abitudini alimentari dei consumatori ed è una delle ragioni per cui i consumatori europei hanno rifiutato l’introduzione degli Ogm. È ragionevole pensare che nei prossimi anni si verificheranno altre catastrofi, oggi abbiamo il problema dell’esaurimento delle risorse petrolifere, anche se il petrolio non è certo una benedizione per il mondo dato che si fanno guerre disastrose in suo nome. Infine è urgente il problema climatico…”

“… Tutto quello che consumiamo, tutto quello che indossiamo richiede migliaia di chilometri di trasporto. Se noi vogliamo limitare la deregulation climatica, che è ciò che in modo più urgente minaccia oggi il pianeta (anche se non è certo la sola minaccia, pensiamo all’inquinamento chimico, batteriologico…), dovremmo rimettere in questione questa logica di deteritorializzazione, delocalizzazione…”

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