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Se il web gioca “sporco”

(Rinnovabili.it) – Quando si parla di impronta ambientale, le prime cose che balzano alla mente sono la modalità con cui ci si reca al lavoro, il tipo di sacchetti usati per fare la spesa, o detergenti impiegati quotidianamente. Ma quante volte viene invece presa in considerazione l’energia utilizzata durante la navigazione o la ricerca sul web? O quanta energia “sporca” richiedono i nostri profili sui social network? A rispondere ci pensa oggi Greenpeace pubblicando “How Dirty is Your Data?”:https://www.greenpeace.org/international/Global/international/publications/climate/2011/Cool%20IT/dirty-data-report-greenpeace.pdf, il primo rapporto sulle scelte energetiche operate dalle società dell’Information Technology (IT) tra cui Akamai, Amazon.com (Amazon Web Services), Apple, Facebook, Google, HP, IBM, Microsoft, Twitter e Yahoo. Le 36 pagine del documento conducono il lettore all’interno del rapporto che lega i grandi data center con le emissioni climalteranti, mettendo in luce l’enorme quantità di elettricità che alimenta le attività online e sottolineando la necessità di una maggiore trasparenza per il settore dell’IT.

*Se il web consuma come l’India* Leggendo la relazione si scopre che se internet fosse stato un paese, si sarebbe posizionato nella classifica mondiale come *il quinto per consumi energetici*, appena sotto al Giappone e alla Russia. I data center, infatti richiedono quantità enormi di energia elettrica, pari ad un *1,5-2 per cento della domanda energetica globale*, che crescono ad un tasso del 12 per cento l’anno. Nonostante i significativi progressi nel rendere i centri dati più efficienti, il settore nel suo complesso sta ancora in gran parte ignorando l’importanza delle energie rinnovabili; nella *lista delle aziende “carbonivore”*, ovvero quelle che fanno maggior ricorso alla fonte fossile per alimentare le loro attività online, spuntano così la Apple con il 54.5% di elettricità impiegata proveniente da centrali a carbone, seguita da Facebook (53.2%) e IBM (51.6%). Meno s”sporchi”, invece, i dati Yahoo! con una percentuale di solo 18.3%. La comparazione delle performance è avvenuta sulla base di parametri quali la trasparenza, la localizzazione geografica delle infrastrutture e le politiche di riduzione delle emissioni inquinanti.

“Crediamo che gli utenti della Rete abbiano diritto di sapere, quando fanno un upload o caricano un video, se la loro attività contribuisce ad alimentare le ceneri tossiche della combustione del carbone, a surriscaldare il pianeta, a mettere in conto per il futuro nuove Fukushima; o se invece poggia su un’energia pulita” commenta Gary Cook, IT Policy Analyst di Greenpeace.

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