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Se alle celle solari spuntassero le antenne

Realizzare celle solari che risultino essere a buon mercato ed efficienti è un traguardo che si fa carico di promesse e continue scoperte che colmano il divario ancora esistente

Lo sviluppo di avanzate strutture ottiche ha consentito enormi livelli di controllo sulla propagazione e la manipolazione delle onde luminose. Questo tipo di gestione è utilizzato in molte applicazioni tecnologiche, comprese la microscopia ottica, le celle solari ad alta efficienza e fonti di luce allo stato solido, divenendo di un certo rilievo anche nel campo della biotecnologia, della medicina e della moderna industria delle telecomunicazioni.
Tra i progressi raggiunti nel campo bisogna annoverare, a buon diritto, anche il lavoro condotto dalla Broadband Solar, start-up della Stanford University, tema dell’ultimo Report speciale sul solare di Technology Review. La società da tempo sta lavorando per realizzare un nuovo rivestimento incorporante nano-particelle metalliche in grado di aumentare la quantità di luce assorbita dai dispositivi fotovoltaici.
Queste particelle non sono altro che minuscole antenne, composte di silicio e germanio, molto simili nel funzionamento a quelle radio; proprio come le antenne convenzionali sono capaci d’interagire elettricamente per ricevere e trasmettere la luce nello spettro ottico e devono alla loro particolare geometria la possibilità di interagire con lunghezze d’onda decisamente più brevi.
Tali unità non fanno altro che catturare la luce in entrata e diffonderla lungo la superficie della cella solare: ogni fotone ha così un percorso più lungo attraverso il materiale, aumentando le possibilità di slegare un elettrone. Cosa ancor più fondamentale, le particelle nonoscopiche aumentano l’assorbimento della luce attraverso la creazione di forti campi elettrici locali.
L’interazione con la luce risulta talmente intensa perché, in realtà, i fotoni in arrivo si associano alle nanoparticelle in metallo sotto forma di onde elettromagnetiche superficiali dette plasmoni. Nei laboratori della Stanford, i ricercatori hanno sperimentato nanostrutture a diverse dimensioni utilizzando la litografia a fascio di elettroni per ritagliarle uno alla volta con dimensioni e forme diverse per renderle capaci di interagire con diverse lunghezze d’onda.
Per rendere il processo più semplice e dunque più facilmente commercializzabile gli scienziati stanno lavorando per migliorare una tecnica chiamata “deposizione per polverizzazione catodica” (sputtering), tecnica in cui si ha emissione frammenti molecolari da un materiale solido bombardato con un fascio di particelle energetiche.
La società sta attualmente sviluppando tecniche di sputtering per l’integrazione delle nanoantenne su vaste aree di film trasparenti di ossido conduttivo.

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