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Sbatti il Co2 in prima pagina

La crescita sulla stampa, ma anche sugli altri media, dei problemi legati alle emissioni di gas serra e ai cambiamenti climatici è stata negli ultimi tempi esponenziale. Tutto ciò può essere molto utile, ma occorre essere attenti alle eventuali controindicazioni

Che il problema delle emissioni di Co2 e l’effetto serra fosse cresciuto nella considerazione che la stampa va dedicando a questi temi negli ultimi tempi è cosa di cui anche i lettori più distratti non possono non essersi accorti. L’attenzione alle conseguenze delle mutazioni climatiche è arrivata a tal punto che, ad esempio, su La Repubblica di oggi, c’è un’intera pagina dedicata alle ripercussioni che il global warming può avere addirittura sullo sport. Si va infatti ad ipotizzare gli effetti negativi dell’inquinamento in Cina in merito alle performance sportive degli atleti alle prossime olimpiadi. Oppure si evidenzia la maggior frequenza di crampi nei mesi primaverili estivi dovuti proprio all’innalzamento della temperatura. Non sfugge a questa analisi neppure la siccità che creerebbe problemi ai campi erbosi in cui si pratica il calcio o il rugby.
Certo si tratta di un risvolto forse marginale ma emblematico, che testimonia come anche questi aspetti molto particolari trovino ormai spazio nella grande stampa. E casi di questo tipo si ritrovano frequentemente su quotidiani, speciali televisivi, siti internet, programmi radiofonici. Ad esempio qualche settimana fa l’inserto “Nova” de Il Sole 24 Ore è stato tutto dedicato ai problemi del risparmio energetico e delle emissioni nocive. Sarà bene ricordare che si tratta del quotidiano della Confindustria e quindi degli industriali, classe spesso messa sotto il mirino degli ambientalisti quanto a responsabilità sull’inquinamento.
Questi temi non vengono trattati solo da quotidiani “di livello alto”, ma hanno occupato le colonne anche dei quotidiani più popolari, come ad esempio i cosiddetti “free press”, cioè quei giornali gratuiti che ormai diffondono complessivamente oltre tre milioni e mezzo di copie al giorno. Si tratta quindi di una presa di coscienza trasversale sia al tipo di media sia rispetto al target cui si rivolge. E quello che è più importante è che questa attenzione ormai non si limita soltanto ad eventi di portata globale, come ad esempio il recente vertice del G8 o prima ancora il famoso rapporto sull’ambiente dell’istituto IPCC dell’Onu. Come abbiamo visto dall’esempio sopraccitato, anche gli aspetti “minori” riscuotono l’interesse della stampa e trovano degli spazi che fino ad un anno fa erano assolutamente impensabili.
Se ce ne fosse bisogno, questo è un ulteriore segnale di come i problemi climatici ed ambientali, con le loro conseguenze, sono ormai entrati nella quotidianità, in competizione con i temi della politica, dell’economia, della guerra, degli attentati. E, per fortuna, questo aumenta la consapevolezza non solo dei comuni cittadini, ma funziona anche come stimolo per l’amministrazione pubblica.
Come al solito però c’è il rovescio della medaglia. In questo caso è costituito dal fatto che, parlare quotidianamente di questi problemi, può creare una certa assuefazione nell’opinione pubblica. Questa notoriamente, quando è sovresposta in termini di informazione ad un determinato argomento, soprattutto quando questo è di natura ansiogena, non è improbabile che dia luogo a dei fenomeni di sottovalutazione o addirittura di rigetto. Ciò si verifica per lo più a causa di una difesa psicologica in presenza di un problema nei confronti del quale il singolo sembra non poter influire. Ovviamente non bisogna cadere in questa trappola e il ruolo dei media deve essere, non solo quello di denunciare questi problemi, ma anche quello di “educare”, cioè spingere al cambiamento degli stili di vita. Questo è un ruolo importantissimo perché proprio partendo dalla modifica delle singole abitudini può nascere una nuova mentalità nell’utilizzo responsabile delle risorse energetiche a livello sociale, e quindi con dei risultati tangibili a livello globale.

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