L’indiscriminata edificazione delle nostre città le rende ancora più calde; le “giungle di cemento” si attestano su valori di temperature medie attorno ai 40 gradi con picchi che sfiorano i 60 gradi
Caldo asfissiante e temperature da record; ma le cause non sono da imputare ai soli eventi climatici, bensì all’effetto di cemento e asfalto, sempre più presenti soprattutto nelle nostre grandi città. Queste le conclusioni di uno studio sulla città di Roma effettuato dal CNR, che sarà pubblicato in un volume in uscita a settembre dal titolo “Dalla cartografia storica al telerilevamento: la città di Roma”. “Dalle mappe – spiega Lorenza Fiumi, coautrice del libro insieme a Sara Rossi – si conferma che gli elementi naturali quali acqua e verde, ovvero le superficie permeabili, determinano valori più bassi di temperatura al suolo che ben si discriminano dal contesto urbano. Al contrario, per le superfici edificate ed asfaltate ovvero impermeabili, si evidenziano range più elevati, con il risultato che circa il 10% del totale supera i 40 gradi, arrivando per alcune superfici come sedi stradali o piazze fino a valori di 59 gradi, ottimali per la formazione di isole di calore”. Altro grosso problema di Roma (ma anche di moltissime altre città italiane) quello dei cosiddetti “canyon di cemento”, ossia quelle strade affiancate da costruzioni di diversi piani che non consentono la dispersione di calore. “Il problema diventa particolarmente grave se alle superfici coperte da edificazione – continua Fiumi – si sommano quelle asfaltate o pavimentate della viabilità. Si registra allora l’esistenza di altissime percentuali di superfici del tutto incapaci di assorbire le acque piovane per via diretta che superano spesso il 90% del totale e qualche volta raggiungono quasi il 100% (…). Situazioni abnormi come queste dovrebbero almeno presumere il funzionamento perfetto della rete fognaria, cosa che non sempre accade a Roma”. Disastrosa la situazione del verde cittadino, in alcuni punti addirittura inferiore al 5% del totale, quando, come la stessa ricercatrice afferma, “nemmeno nelle aree densamente edificate bisognerebbe mai scendere al di sotto del 10-15%”. (fonte IlGiornale.it)