La comprensione dei processi legati all’aerosol atmosferico, ovvero tutto il particolato in sospensione aerea, ed alla sua componente antropica (dovuta alle emissioni industriali, da trasporti, combustione di biomasse, lavorazioni agricole e dei suoli) costituiscono una delle attuali sfide della ricerca in scienze dell’atmosfera. Già il rapporto 2007 dell’Intergovernamental Panel on Climate Change confermava il ruolo importante giocato dall’aerosol troposferico nella modifica del bilancio radiativo del pianeta, per l’effetto di raffreddamento sul clima ad esso associato. Tuttavia la realtà sembra essere più complessa e proprio su questa complessità che sta lavorando il programma “Share” (‘Stations at High Altitudine for Research on the Environment’) di EvK2 del Consiglio nazionale delle ricerche (CNR). Alcune particelle, in particolare quelle derivanti da processi combustivi, assorbono la radiazione solare e localmente producono un riscaldamento dell’atmosfera paragonabile a quello provocato dai gas serra. Queste particelle possono poi essere trasportate per migliaia di chilometri fino a raggiungere zone remote e incontaminate come le pendici del Monte Everest, ad oltre 5 mila metri di quota. A questa altezza, secondo gli scienziati, potrebbero incrementare il processo di fusione dei ghiacciai Himalayani. Infatti, le particelle derivanti da combustione, di colore scuro, depositate sulle nevi bianche ne favoriscono in modo sostanziale la fusione modificandone l’albedo.
Una proiezione tutt’altro che incoraggiante.