Oggi il convegno sul ciclo di vita delle rinnovabili e le loro ricadute industriali, infrastrutturali e territoriali
Pubblicato in Gazzetta Ufficiale ieri sera, da oggi il Decreto legislativo che recepisce la Direttiva comunitaria in materia di fonti rinnovabili è entrato ufficialmente in vigore. In un clima di crisi, emergenze geopolitiche nordafricane e incidenti nucleari, nel mondo, caos normativo, investimenti a rischio e proteste (più che giuste) degli operatori del settore, nel nostro Paese, continuano a prevalere logiche miopi che rincorrono l’istantaneo anziché anticiparlo. Con questo spaccato si è aperto il convegno “Rinnovabili 2.0. Dopo gli incentivi, il mercato”, organizzato al Palazzo Rospigliosi Pallavicini di Roma, che, dando la parola agli imprenditori, ha cercato di definire quello che sarà il futuro dell’energia.
Unanime il pensiero sul fatto che la logica degli incentivi sia vecchia e che le discontinuità del mercato debbano essere gestite, anticipate e governate. Nonostante le rinnovabili abbiano superato la fase pionieristica, sono ancora oggi un settore acerbo e lontano dalla maturità che va responsabilizzato; ciò significa smettere di pensare in termini di capacità installata per pensare invece al loro contributo rispetto alla liberalizzazione del mercato e alla sua indipendenza.
Cosa ci riserva il futuro? Nel panorama internazionale le rinnovabili continueranno ad aumentare la loro incidenza con un tasso di crescita che, se nel 2000 era dell’1,6%, nel 2050 sarà del 4,9%. I fatti di cronaca internazionale hanno provocato un certo irrigidimento verso il nucleare, che potrebbe tradursi in una maggiore spinta verso le fonti rinnovabili. “Ciò su cui dovremmo concentrarci – ha detto Marco Costaguta, Director Bain&Co – riguarda lo sviluppo delle tecnologie esistenti, un aumento delle negoziazioni e degli aggiustamenti normativi e una diminuzione dei costi di filiera”. Il quadro macroeconomico non è dei migliori, eppure le FER hanno attratto molti investimenti privati in virtù degli ottimi vantaggi attesi. Per Costaguta, se la velocità di investimento privata continuasse come in passato, le rinnovabili potrebbero raggiungere la competitività nell’arco di 15-20 anni.
Sul piano degli incentivi, l’Italia è all’avanguardia, ma sembra non esserci troppa chiarezza su dove il Paese voglia investire e soprattutto non è chiaro il ruolo, se c’è, della nostra filiera produttiva. “La supply chain la sapevamo fare già cento anni fa con il geotermico e venticinque-trenta anni fa con il fotovoltaico e con l’eolico, ma poi non l’abbiamo saputa coltivare”, parola del Consigliere APER Carlo Durante che riflette sul ruolo che potranno coprire le rinnovabili nel processo di progressiva integrazione dei mercati energetici. Per Durante, alcune tecnologie sono state abbandonate, vittime di un incentivo troppo cieco, e tanti impianti sono totalmente estranei alla natura del mercato elettrico. Per questo la definizione di un mix energetico su cui puntare è urgente per capire cosa fare delle rinnovabili, agendo non solo sull’efficienza e sull’innovazione, ma anche sull’accettazione sociale, oggi ancora troppo bassa, e sullo sviluppo di smart grid, per non dipendere più dall’estero sia in termini di approvvigionamento energetico che in termini di tecnologia.
E proprio sulle smart grid, Antonella Battaglini del Potsdam Institute for Climate Impact Research, va oltre introducendo il concetto di una Super Smart Grid, una rete più che intelligente in grado di combinare la produzione su vasta scala con le piccole generazioni distribuite, grazie alla quale sarà possibile disporre di energia elettrica indipendentemente da dove essa sia stata prodotta: dai centri di produzione a quelli di consumo e stoccaggio. Un sogno? Per il momento sì, considerato l’attuale sistema regolatorio e la “claudicanza” di una pianificazione a livello europeo. Molti studi dimostrano che in Europa è possibile ottenere anche il 100% di rinnovabili entro il 2050 a un prezzo probabilmente inferiore a quello che pagheremmo se continuassimo a investire su fonti tradizionali.
“In Italia, da questo punto di vista, siamo ancora all’età della pietra”, ammonisce Federico Testa (Commissione della Camera dei Deputati Attività Produttive, Commercio e Turismo). “Stiamo facendo un piano di programmazione senza una strategia energetica nazionale – ha continuato Testa – e chi ha scritto il Decreto o è incompetente o è in malafede“. Non possiamo dargli torto, considerando l’inaffidabilità del sistema che esso ha provocato, con pesanti ripercussioni su tutto il comparto.
È qui che deve inserirsi il ruolo della politica, una politica che anticipi i rischi senza affidarsi ai tempi e all’istantaneità del mercato, favorisca il cambiamento e disponga di “alternative”. Perché, citando Durante, se finora a badare alla sicurezza energetica c’erano il PIL e magari le Farnesine, oggi questi strumenti potrebbero non bastare più.