Rinnovabili

Rifiuti: ultima fonte rinnovabile?

L’esercito è pronto a scendere in campo a Napoli per l’emergenza rifiuti. E ieri, nel corso dell’ultimo vertice sulla sicurezza, il Viminale ha predisposto un “piano antiteppisti” per arginare le proteste cittadine. Un’emergenza cronica, quella dei rifiuti in Campania, che ha dovuto aspettare ben 13 anni di inerte commissariamento per diventare, come l’ha definita il Presidente Prodi, un caso nazionale. Eppure, roghi e montagne di immondizia per le strade ci sono state ogni anno.
Un tema, dunque, di rovente attualità quello del convegno svoltosi ieri a Roma, 10 gennaio, presso il Gestore dei Servizi Elettrici (GSE), in cui NE-Nomisma Energia ha presentato uno studio dal titolo Politiche energetiche e ambientali: le potenzialità del Combustibile da Rifiuti di Qualità Elevata, CDR-Q. L’idea è quella di fare dei rifiuti una risorsa energetica, a partire dal fatto che dal 1995 al 2007 la produzione di rifiuti urbani in Italia è cresciuta del 27%, raggiungendo un nuovo record di 33 milioni di tonnellate. Impiegando i rifiuti urbani, appositamente trattati e provenienti dalla raccolta differenziata, in co-combustione nelle centrali elettriche e nei cementifici, si ottengono benefici in termini economici e di riduzione della CO2. Ma non solo. Usati così, i rifiuti diventano anche una fonte rinnovabile. Quello che viene utilizzato come combustibile negli impianti, infatti, è la frazione biodegradabile dei rifiuti urbani e industriali, che è classificata dalla normativa comunitaria (Direttiva 2001/77/CE) come fonte energetica rinnovabile. “Il vantaggio del CDR-Q riguarda il suo contenuto di biomassa, circa il 50%”, spiega nel presentare lo studio Davide Tabarelli, Presidente di NE-Nomisma Energia. “Per altro, si tratta di biomassa non vergine, proveniente cioè da altri processi produttivi, non dal legno di foreste esistenti”. Ma perché questo combustibile dovrebbe essere migliore del CDR di qualità normale? Per una minore presenza di inquinanti, un contenuto certo di biomassa, un maggior potere calorifico e una maggiore stabilità nel tempo. Inoltre, perché porta un duplice risparmio. “Impiegandolo per far funzionare impianti elettrici e industriali”, prosegue Tabarelli, “da un lato si risparmiano combustibili fossili, per circa 2 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio l’anno, dall’altro si diminuisce la quantità di rifiuti solidi urbani che va in discarica”. Cioè oltre il 60% del totale, attualmente, in Italia, contro una media Ue del 38%. Con questo sistema, inoltre, si evita la realizzazione di nuovi impianti di combustione dei rifiuti. “Nel nostro Paese le potenzialità di consumo di CDR-Q sono di 3,7 milioni di tonnellate, che permetterebbero l’impiego di circa 8 milioni di tonnellate di rifiuti urbani”. In pratica, se come diceva Democrito “nulla si crea e nulla si distrugge”, tanto vale usare la roba che ora invade le strade. Se il concetto è semplice, la realizzazione, come mostra l’esempio campano, lo è molto meno.
Ma quantifichiamo i benefici in termini economici e ambientali. I numeri presentati da Tabarelli parlano chiaro. “Riduzione di 7 milioni di tonnellate l’anno delle emissioni di CO2. Aumento della produzione di elettricità da fonti rinnovabili per 2,7 TWh l’anno, pari al consumo di 1 milione di famiglie. Risparmio energetico nei cementifici di 0,33 milioni di tonnellate equivalenti petrolio annue (Mtep)”. Complessivamente, il beneficio economico è di 650 milioni di euro l’anno. A pensarci bene, più o meno quanto è costata l’emergenza rifiuti in Campania negli ultimi 13 anni di commissariamento: 850 milioni al 2005, secondo la Corte dei Conti.

Al dibattito sulle nuove politiche energetiche, che è seguito alla presentazione dello studio di Nomisma Energia, sono stati invitati esponenti del Governo e delle Istituzioni, essendo obbiettivo dichiarato del convegno quello di fare del CDR-Q uno strumento di convergenza di politiche integrate. Il Sen. Edo Ronchi, Vicepresidente della Commissione Ambiente del Senato e padre della normativa sui rifiuti – ora abrogata dal cd. Testo Unico o Codice Matteoli (decreto 152) – ritiene questo tipo di combustibile “una delle forme più interessanti per il recupero energetico, anche perché consente l’uso di impianti non dedicati”. E ricorda che “la riforma delle rinnovabili contenuta in Finanziaria” – quella in cui è confluito il cosiddetto pacchetto “salva clima” di Ronchi, che rivede il sistema dei certificati verdi – “consentirà per la quota biodegradabile che va a formare il CDR-Q di avere incentivi. Il decreto attuativo del Ministero dello Sviluppo Economico è pronto”. Però, come ricorda il Sen. Francesco Ferrante, capogruppo Pd della Commissione Ambiente del Senato, “il decreto ancora non è arrivato, quindi ancora non ci sono i criteri per stabilire quale parte biodegradabile dei rifiuti può essere considerata “rinnovabile”. Poi, “il CDR-Q è una soluzione interessante se completamente inserita nella gestione integrata dei rifiuti. Altrimenti finiamo come in Campania, dove si dovrebbero mettere a norma i 7 impianti che producono ecoballe di cattiva qualità, che non posso essere bruciate, anzicchè pensare al terzo inceneritore”. Sui tempi del decreto che deve definire criteri e diritti di accesso agli incentivi per la frazione biodegradabile, è intervenuta Sara Romano, Direttore generale per l’Energia e le Risorse Minerarie del Ministero dello Sviluppo Economico, annunciandone l’emanazione a breve. Infine, Vittorio Prodi, Vicepresidente della Commissione sul Cambiamento Climatico del Parlamento Europeo, propone di recuperare una proposta della Commissione Ue contenuta nella Direttiva Rifiuti: considerare recupero, e non smaltimento, lo sfruttamento energetico dei rifiuti, a patto di superare un minimo di efficienza. Infatti oggi, in Italia, ancora non esiste il riconoscimento legislativo dell’uso a fini energetici del combustibile che deriva da rifiuto. Come dire: per la legge, anche se produci energia, rifiuto sei e rifiuto rimani.

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