Rinnovabili

Quanto manca alla maturità delle rinnovabili?

Le rinnovabili sono la strada maestra per la produzione di energia, la ripresa dell’economia e il rilancio dell’industria. È stata questa la voce fuori campo sulla quale, ieri pomeriggio a Roma, si è aperto il sipario del Teatro Euclide su un palcoscenico insolito, la cui scenografia non ha ospitato attori, cantanti o bravi ballerini, bensì un comparto che, nonostante i tumulti degli ultimi mesi, sta cercando di vincere le sue sfide: quello delle rinnovabili. Il Convegno nazionale di ISES ITALIA “Le finanze, le regole, l’industria: cosa manca alle rinnovabili perché diventino sempre più una realtà economica” ha fatto il punto sulle prospettive relative alla finanza, alla policy e alla risposta dell’industria nazionale del settore, per valutare, alla luce delle recenti decisioni normative, le condizioni per raggiungere gli obiettivi a lungo termine concordati con l’Unione Europea, il ruolo giocato dalle eccellenze tecnologiche presenti nel panorama nazionale, l’adeguatezza degli strumenti finanziari e il modo in cui vanno modificati gli incentivi e le misure adottate.

 

Con investimenti adeguati e con uno sfruttamento medio delle opportunità nel comparto delle fonti rinnovabili – ha detto il Presidente del GSE, Emilio Cremona, che ha aperto i lavori – l’Italia potrebbe essere un Paese leader dal punto di vista tecnologico”. Per Cremona, le rinnovabili sono fondamentali sia per la produzione di energia elettrica che per l’industria. E i numeri, che parlano di un fatturato di circa 100 miliardi di euro e di circa 200.000 occupati sul suolo nazionale, lo confermano.
Ma l’Italia fa ancora poco. Gli obiettivi che leggiamo sul Piano di Azione Nazionale sembrano sfidanti fino a che non li confrontiamo con quelli di altri Paesi europei che, nonostante si trovino in posizioni geografiche sicuramente più svantaggiate dell’Italia (come la Germania, per esempio, la cui insolazione non sarà mai paragonabile alla nostra), hanno attuato politiche energetiche più che ambiziose e che, secondo alcuni studi presentanti di recente, sembrano voler puntare addirittura a un 100% di energia “verde”. Da noi, invece, non funziona proprio così: se andiamo a vedere l’andamento della produzione elettrica solare, eolica, da biomassa e da calore sia geotermico che solare, già ci accorgiamo che l’Italia non brilla rispetto agli altri Paesi europei; se poi gli stessi andamenti li analizziamo rapportandoli per chilometro quadrato o al numero di abitanti, poi, la prospettiva ci fa sfigurare ancora di più.

 

Negli affreschi della biblioteca Monastero di San Giovanni Evangelista di Parma – ironizza il Presidente di ISES ITALIA, G.B. Zorzolil’aurea mediocritas è presentata come virtù essenziale, come una porta d’ingresso privilegiata alla retta sapienza”. Ma dai primi decenni del ‘600 a oggi, ha ammonito Zorzoli, sono però passati quasi quattro secoli che qualche innovazione nella nostra visione del mondo l’hanno portata. Cina, Brasile, Regno Unito, Germania e Spagna saranno i Paesi che vinceranno la sfida energetica green. Ne è convinto Zorzoli che fa proprie le conclusioni del PEW G-20 Report 2011, secondo il quale il “quintetto”, attraverso forti politiche nazionali finalizzate alla riduzione del riscaldamento globale e all’incentivazione dell’utilizzo delle energie rinnovabili si stanno posizionando in maniera competitiva nella clean energy economy.

 

Ma torniamo all’Italia. Sul piano della finanza, invece, come siamo messi? “È più facile prevedere chi vince lo scudetto o la Formula 1, piuttosto che parlare del finanziamento delle rinnovabili…!”, ha detto Paolo Tabarelli De Fatis, Consigliere ISES ITALIA. Con la normativa precedente, le rinnovabili hanno fatto notevoli passi in avanti, sono cresciute in termini di imprenditoria, di occupazione, di produzione. Oggi, invece, ci si pone il problema della sostenibilità degli incentivi, messa in discussione dal fatto che gli obiettivi possano essere raggiunti o addirittura superati prima del 2020 e la situazione si è aggravata ancora di più con il Decreto Romani, reo di aver incluso una serie di decisioni che di fatto rallentano o addirittura bloccano lo sviluppo delle FER. Fino a oggi l’imprenditore che aveva deciso di fare un investimento si misurava con un sistema bancario che, pur diventando sempre più selettivo, conosceva le condizioni per valutare la fattibilità economica di un progetto e poteva quindi accettare di dare un finanziamento senza ricorso allo sponsor. Se l’appetito dei lender è andato gradualmente riducendosi in seguito al rallentamento dei flussi finanziari, con il Decreto Romani si è definitivamente spento: le banche straniere sono ferme in attesa di decreti attuativi e del regolamento delle aste, mentre quelle italiane procedono con circospezione. “Fa eccezione solo il settore del biogas – ha detto Tabarelli – che per la sua natura locale e per il diretto coinvolgimento del mondo agricolo trova ancora disponibilità da parte di banche locali, con condizioni di finanziamento accettabili”.

 

Ciò che dobbiamo auspicarci, insomma, è che vengano emessi quanto prima decreti attuativi che tutelino gli interessi di tutti gli operatori, non solo dei “grandi”. La posta in gioco è alta: una grande opportunità per l’industria italiana e per l’occupazione giovanile. Poi ci sono le regole, la cui certezza è fondamentale per proseguire la strada della sostenibilità e dell’efficienza energetica e per garantire la giusta stabilità agli investitori. Marco Pigni, di APER, parla di un “vero e proprio attacco al settore” dal 2008 in poi, attacco che è si è fatto ancora più duro con il Decreto e che è necessario neutralizzare per arrivare a un sistema di sostegno (di cui le FER necessiteranno fino al raggiungimento del grid parity) coerente con l’evoluzione tecnologica e con valori ben distinti per taglie e per fonti.

Ricca di spunti di riflessione anche la Tavola Rotonda, moderata dal Vice Presidente di ISES ITALIA, Roberto Vigotti, alla quale ha partecipato il mondo dell’industria. C’è chi sta portando avanti ricorsi per cattivo recepimento della Direttiva comunitaria, chi si appella al Piano di Azione Nazionale, chi vuole richiedere i danni allo Stato italiano. Il Governo poi, dal canto suo, anziché interagire ufficialmente con tutti i rappresentanti di tutti gli interessi, continua a dimostrarsi incapace di portare avanti una vera politica energetica. Il momento è difficile, questo è fuori discussione, ma quello di cui il settore ha bisogno oggi è unità, negli intenti e negli obiettivi da perseguire, un’unità che non guardi alla singola tecnologia, ma al comparto nel suo insieme. “Se così non sarà – ha concluso Zorzoli – il rischio è che si faccia la fine dei polli di Renzo!”. Intanto restiamo in attesa della bozza di Decreto, che avrebbe dovuto circolare già due giorni fa, ma ancora nessuna notizia: i tempi sono incerti e il 30 aprile è vicino.

Exit mobile version