Firmato nel 1987 dopo la scoperta del “buco dell’Ozono”, i Protocollo di Montreal conquista finalmente una valenza universale a dimostrazione di come un accordo globale, in materia ambientale, sia raggiungibile
Cade oggi l’anniversario del Protocollo di Montreal, il trattato internazionale dell’Onu, firmato il 16 settembre 1987 e ratificato attualmente da 196 nazioni – Unione Europea compresa – con l’obiettivo di ridurre ed eliminare la produzione umana di idrocarburi alogenati, sostanze che, generate in natura contribuiscono alla regolazione dello strato di ozono, ma nella cui porzione antropica è stata identificata la causa dei gravi danni subiti dall’ozonosfera.
L’ultima new-entry nel trattato è quella della Repubblica Democratica di Timor Est, l’unico Stato al di fuori del regime di protezione, la cui ratifica ha conciso pertanto anche con il riconoscimento di un valore di universalità, felicemente plaudito dall’UE. Il Commissario europeo per l’Ambiente, Stavros Dimas, ha colto l’occasione per dichiarare: “Accolgo con molto piacere la notizia che il Protocollo di Montreal ha finalmente ottenuto il riconoscimento universale che merita. I progressi raggiunti dal protocollo nel proteggere sia lo strato di ozono e che il clima globale indicano come sia possibile raggiungere un consenso a livello globale su importanti questioni ambientali. Ciò rappresenta un messaggio molto importante e incoraggiante che dobbiamo tenere a mente ora che il mondo si prepara a concludere un nuovo accordo globale sul cambiamento climatico”.
Nel dettaglio, la convenzione prevede, entro la fine di quest’anno, il divieto di produzione di clorofluorocarburi (CFC), impiegati nei refrigeranti, solventi ed in alcune tipologie di estintori, fissando un calendario preciso anche per la graduale eliminazione di altre sostanze nocive come gli idroclorofluorocarburi (HCFC) e il bromuro di metile. I risultati ottenuti, dalla sua entrata in vigore, sono per l’Onu incoraggianti: senza il protocollo e la sua Convenzione di Vienna, i livelli atmosferici degli idrocarburi alogenati sarebbero aumentati di dieci volte entro il 2050, determinando fino a 20 milioni in più casi di cancro alla pelle e 130 milioni in più di patologie oftalmiche, per non parlare dei danni al sistema immunitario, alla fauna e all’agricoltura.
Dal canto suo, il vecchio Continente ha ottenuto il ritiro dal mercato del 99 per cento di tali sostanze grazie alla partecipazione proattiva del mondo dell’industria e la rigorosa attuazione della legislazione europea in materia, e a partire dal 2010 entreranno in vigore ulteriori restrizioni.
Sebbene la World Meteorological Organisation abbia fornito dati positivi in merito allo stato di salute del “buco dell’Ozono”, – quest’anno ulteriormente ridotto rispetto al 2008 – le Nazioni Unite non abbassano la guardia, avvertendo che il successo del trattato non è ancora assicurato e che i danni a carico dello strato atmosferico perdureranno ancora per altri 40 a 50 anni.
Gli idrocarburi alogenati, infatti, sembrano vantare un potenziale di riscaldamento globale fino a 14.000 volte superiore a quello dell’anidride carbonica. Per quella che è anche il XIV World Ozone Day, Ban ki-Moon Segretario delle Nazioni Unite, ha lanciato un messaggio che ancora una volta mette sotto i riflettori la necessità di una cooperazione internazionale, nella preservazione dello strato di ozono e, a livello più ampio, sul clima in generale. “La cooperazione internazionale in materia di CFC – spiega Ban – è una chiara dimostrazione che, attraverso un’unità di propositi e azioni concertate, possiamo minimizzare i rischi per il nostro pianeta e costruire un mondo più sicuro per le generazioni future”. Un operare insieme che faccia da moltiplicatore dell’impatto sullo sviluppo sostenibile, motivati dalla certezza che i buoni risultati siano raggiungibili. “È una lezione che dobbiamo tenere a mente in vista della Conferenza delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici che si terrà a dicembre a Copenaghen”. I Governi firmatari si sono già dati appuntamento a novembre in Egitto, per tracciare le direzioni future del Trattato, compreso il suo ruolo nella lotta al cambiamento climatico.