Mentre dalla Fao arriva l’ultimo allarme biocarburanti, l’Unione Produttori Biodiesel, l’associazione di Confindustria che raggruppa tutte le aziende nazionali che producono biodiesel, annuncia la sua posizione sul tema: “I produttori italiani di biodiesel sono certi di poter affrontare la sfida del raggiungimento del 10% di biocarburanti nel 2020, nel pieno rispetto delle regole di sostenibilità, di una rigorosa tracciabilità e di una migliore qualità del prodotto”. Le parole sono di Maria Rosaria Di Somma, direttore generale dell’Unione. “Fino al 2010 – spiega – il biodiesel di prima generazione rappresenterà la percentuale più consistente del mercato, ma i produttori non sono privi di una strategia programmatica e sono già impegnati in ricerche, studi, investimenti per l’individuazione di materie prime alternative al food e per la verifica della fattibilità del biodiesel di seconda generazione”. “I biocarburanti non sono la causa delle disastrose conseguenze sociali in materia alimentare e, al tempo stesso, non c’è alcun dubbio sui loro benefici ambientali”, prosegue Di Somma aggiungendo che “non vi è alcuna comprovata relazione di causa diretta tra i rincari delle materie prime agricole e la produzione di biocarburanti. Anche secondo stime Ocse e Fao i rincari sono da ricondursi a tre fattori: un andamento climatico sfavorevole, la riduzione degli stock cerealicoli e i mutamenti nelle abitudini alimentari. Si pensi a Cina e India, con oltre 2 miliardi di persone che potrebbero adottare i regimi alimentari occidentali”. “Il problema – conclude – non è contingente ma strutturale e bisogna intervenire con politiche di sviluppo concrete e su scala internazionale. I biocarburanti sono del tutto estranei allo shock alimentare che si sta determinando nei mercati delle materie prime alimentari. In certe regioni sottosviluppate, le coltivazioni per produrre biocarburanti possono portare cibo e non toglierlo”.