Rinnovabili

Pacchetto clima: cosa ha ottenuto l’Italia e cosa no

Facciamo a fine anno il punto sulla vicenda che ha tenuto banco negli ultimi mesi e si è conclusa proprio a dicembre inoltrato. Stiamo parlando dell’ormai famoso programma anti-cambiamenti climatici che la commissione Ue aveva approvato, più noto come pacchetto “20-20-20”. Con una storia che inizia con il “no” e una mnaccia di veto del governo Berlusconi, a cui si erano poi accodati la repubblica Ceca, la Polonia e diversi paesi dell’Est europeo. Una febbrile trattativa con l’Italia e una conclusiva riunione dei capi di stato e di governo ha permesso, sia pur in extremis e con molti compromessi rispetto al programma iniziale, di cantar vittoria sia alla commissione Ue e al suo presidente Barroso che comunque hanno portato comunque a casa un risultato, sia al presidente di turno, il francese Sarkozy che ha concluso il suo semestre con un qualche risultato e anche ai governi Berlusconi e di altri paesi recalcitranti, contenti di aver ottenuto quello che chiedevano.
La vicenda si è terminata con l’approvazione definitiva del pacchetto Ue sul clima tramite votazione dell’Europarlamento. Ma di preciso cosa ha ottenuto e cosa non è riuscito a ottenere il governo Berlusconi?

*Carbon Leakage*
Si è estesa la tipologia dei settori industriali a rischio di delocalizzazione, se vincolati ai costi dei diritti di emissione, con il recepimento di standard obiettivi (sovraccosti sul valore aggiunto ed esposizione internazionale) che permetteranno di includere i settori del vetro, della ceramica, della carta e dei tondini per cemento armato (insomma la cosidetta siderurgia a forno elettrico). Tali industrie otterranno il 100% delle proprie quote di CO2 gratis, a condizione che rispettino dei parametri di riferimento di efficienza energetica (diverso per ogni settore), e a patto che non siano presenti accordi sovranazionali che vietino la delocalizzazione.
Su rischiesta specifica del governo Berlusconi è stata prevista la possibilità di considerare anche uno solo dei due parametri, se molto alto, e la possibilità di scorporare alcuni sotto-settori particolarmente esposti, se facenti parte di segmento produttivo che non rispetta i parametri. Di fatto un allargamento delle maglie che potrebbe comprendere nei settori a rischio di delocalizzazione addirittura il 95% dell’industria manifatturiera europea. Occorre precisare però che le esclusioni di settori a rischio delocalizzazione non sono così scontate, perché non verranno applicate se vi fosse un diverso accordo internazionale alla prossima Conferenza Onu sul clima di Copenaghen (dicembre 2009).

*Esenzione per le Pmi*

E’ prevista una semplificazione delle verifiche per le piccole imprese (sotto le 5.000 tonnellate all’anno di CO2), nell’ambito di una esenzione dal sistema Ets delle Pmi (fino a 25.000 tonnellate di CO2, quando il programma di partenza ne prevedeva solamente 10.000), che saranno obbligate comunque ad adottare delle misure definite “equivalenti”. Quasi un’autocertificazione presso le autorità nazionali competenti) permetterà alle piccole imprese di risparmiare i costi dei verificatori esterni di queste ‘misure equivalenti’.

*Crediti esterni nei settori non industriali*

Pee quanto riguardi i settori del turismo, dei servizi, dell’agricoltura, dei trasporti, e dell’ediliza, l’Italia è uno dei dodici stati Ue autorizzarti ad incrementare il ricorso al “Clean Development Mechanism” e alla “Jiont Implementation”. Si tratta dei cosiddetti “crediti esterni” (_così criticati dagli ambientalisti_), che derivano dai progetti delle aziende Ue in paesi extraeuropei, validi per rientrare negli obiettivi nazionali della riduzione di emissioni. L’incremento è del 3/4% sul 10 (13% per l’Italia) che nell’Ue dovranno essere tagliati nel 2020 rispetto al livello delle emissioni del 2005 (calcolato sulla somma totale delle riduzioni annuali). La riduzione quindi, rispetto all’obiettivo nazionale, dovrebbe dovrebbe attestarsi attorno al 70%. Il governo Berlusconi, però, aveva chiesto di più. (il punto percentuale in più vale solo per progetti in paesi meno sviluppati, nelle piccole isole, ma non per Cina o India).

*Comparti manufatturieri “non esposti”*

I segmenti manifatturieri non a rischio di delocalizzazione avranno gratis l’80% delle proprie quote di CO2 nel 2013, e poi a scalare, sempre meno ogni anno fino ad arrivare al 30% nel 2020 (il programma “20-20-20” indicava che a tale data tutti i diritti di emissione fossero a pagamento). Le parte di quote gratis diminuiranno gradatamente dal 30% del 2020 fino ad azzerarsi nel 2027. Ciò taglierà notevolment i costi delle imprese manifatturiere italiane, che non potranno usufruire della deroga per i settori a rischio delocalizzazione.

*Adeguamento automatico al 30% in caso di accordi Onu*

E’ così sparito ogni obbligo di adeguamento automatico, dal 20 al 30%, dell’obiettivo di riduzione delle emissioni nel 2020, in caso di accordo internazionale alla Conferenza Onu sul clima di Copenaghen del dicembre 2009. L’adeguamento si farà solo in base a una proposta della Commissione Ue (marzo 2010), salvo approvazione con procedura di co-decisione fra Consiglio Ue ed Europarlamento.
Queste eventuali misure andranno in vigore solo dopo l’entrata in vigore di un nuovo, eventuale trattato internazionale. Su richiesta italiana, la Commissione europea potrà proporre la concessione di altre quote di CO2 gratuite inidrizzate ai settori esposti a un rischio significativo di delocalizzazione, “anche alla luce dei risultati del negoziato internazionale”.
Tuttavia, (contrariamente a quanto hanno affermato esponenti del governo italiano) nessun obiettivo di riduzione delle emissioni, né europeo, né nazionale, potrà essere rimesso in discussione. Infatti la “clausola di revisione”, chiesta dal governo Berlusconi, potrà essere usata solo per aumentare lo sforzo di riduzione, non per diminuirlo, come tenuto a ribadire il presidente della Commissione, il commissario all’Ambiente, Stavros Dimas e i relatori dell’Europarlamento.

*Rinnovabili senza obiettivi intermedi*

In merito alla direttiva sulle energie rinnovabili, il governo Berlusconi si era opposto a fissare obiettivi intermedi vincolanti nell’incremento delle fonti rinnovabili. La direttiva approvata prevede solo l’obbligo per gli Stati membri di presentare, entro il 2010, dei piani standard per le rinnovabili, alla Commissione europea, che potrà chiedere la revisione dei piani, se inadeguati a raggiungere l’obiettivo del 2020 (per l’Italia, il 17% sul consumo finale di energia).
Altro risultato spuntato dal governo Berlusconi è la possibilità di acquistare energia da font rinnovabili anche dai paesi non Ue vicini, per raggiungere l’obiettivo, ma sempre che si tratti di energia fisicamente trasferita (con elettrodotti, per esempio), in particolare dal Nord Africa e dai Balcani.

*Multe più graduali per il mancato rispetto dei valori previsti per le auto*

Il negoziato, il cui protagonista, è stato il relatore dell’Europarlamento, Guido Sacconi (Pd/Pse) all’inizio partiva da un accordo franco-tedesco e un meccanismo di differenziazione casa per casa degli obiettivi di riduzione delle emissioni che premiava,
auto di lusso e più pesanti (tipiche della produzione tedesca), penalizzando invece quelle di piccola cilindrata e più leggere (gran parte della produzione italiana).
Il testo corregge questa imposazione: dal 2012 al 2015, le case automobilistiche dovranno man man ridurre le emissioni dei loro modelli fino a 130 g/km (media per tutto il parco auto Ue), per gli inadempienti sono previste multe progressive meno salate per i primi tre grammi di ‘sforamento’, molto più pesanti dal quarto grammo in su. Cioè solo 5 euro (moltiplicate per il numero di auto vendute) per il primo grammo in eccesso, 15 per il secondo, 30 per il terzo e 125 per il quarto, più 95 euro in più per ogni ulteriore grammi di sforamento.

*Deroghe per il settore termoelettrico*

Nessuna deroga per nessun governo, nemmeno per quello di Berlusconi. Il pagamento del 100% delle quote di emissione per il settore termoelettrico resta. Eccezioni in questo settore solo per i paesi dell’Est europeo.

*Emissioni procapite invece che rispetto al Pil*

Bocciata l’idea del governo Berlusconi di considerare le emissioni pro-capite, invece che rispetto al Pil dei paesi membri. Con questo criterio, il governo calcolava che l’Italia avrebbe avuto oneri più bassi. Ma nell’analisi della Commissione europea avrebbe costituito un problema insuperabile nei negoziati internazionali con paesi come l’India e la Cina. Imossibile negare ai due paesi più popolosi della Terra l’applicazione di questo principio se fosse adottato all’interno dell’Ue. E con un tale parametro India e Cina continuerebbero per decenni ad aumentare le emissioni, prima di raggiungere i livelli dei paesi di vecchia industrializzazione.

*Revisione degli impegni di riduzione e rinvio delle misure*

Nell’accordo sono stati inserite alcune parole che il governo Berlusconi ha poi usato per non ammettere di aver perso de tutto la battaglia su questo piano. Non c’è nessuna revisione degli obiettivi vincolanti del pacchetto, né di quelli europei, né di quelli nazionali. Le proposte della Commissione dopo Copenaghen, eventualmente aumentaranno gli impegni dei paesi Ue, e non li diminuiranno certo. Il pacchetto clima, costituisce quindi il minimo dell’impegno Ue, unilateralmente, anche in caso di mancato accordo Onu. Da fonti tedesche, bocciata anche la richiesta di Berlusconi per un rinvio di un anno del pacchetto, a causa della crisi economica e finanziaria. Si è dovuto arrendere di fronte a un deciso no dei colleghi, sprattutto del cancelliere Angela Merkel.

*Obiettivi intermedi nazionali per settori non industriali*

Reintroduzione degli obiettivi intermedi annuali obbligatori per raggiungere l’obiettivo 2020 di taglio delle emissioni nei settori non industriali (il 10% rispetto al 2005 nell’Ue, il 13% per l’Italia) su cui il governo Berlusconi era contrario. Inoltre, è precisata una penale per i paesi inadempienti. Ogni anno, si può trasferire all’anno successivo la parte di riduzione delle emissioni prevista e non effettuata, ma verrà aumentate di un’ulteriore riduzione dell’8%. Il governo Berlusconi si era particolarmente impuntato su questo punto, ma ne è uscito sconfitto.

*Nessuna riduzione dell’obiettivo nazionale nelle rinnovabili*

L’Italia chiedeva una riduzione dell’impegno nazionale di arrivare nel 2020 alla quota del 13% di fonti rinnovabili nel consumo energetico finale. Richiesta non presa in considerazione.

Exit mobile version