Ottenere energia dai fiumi, ma senza realizzare dighe o puntellarne il letto con minuscole turbine, senza influire sulla portata minima né dover sfruttare un salto o un percorso in discesa. Ci ha provato l’ingegnere olandese Joost Veerman del Westus, Centro per le Tecnologie Idriche Sostenibili di Leeuwarden che con un gruppo di colleghi ha studiato la possibilità di impiegare la differenza di salinità presente alla foce dei fiumi per creare energia immagazzinabile in un nuovo tipo di batteria. Il progetto, denominato “Blue Energy” parte dal concetto, noto da tempo, di energia a gradiente salino o energia osmotica ottenuta dalla differenza nella concentrazione di cloruro di sodio fra l’acqua salata e l’acqua dolce, esattamente ciò che avviene quando il fiume si riversa nel mare.
A livello teorico sarebbe possibile recuperare enormi quantità di energia da grandi masse di acqua: nei soli Paesi Bassi, primi in tal senso ad aver avviato una simile sperimentazione, si calcola che gli oltre 3.300 /m3 al secondo di acqua dolce che sfociano in mare avrebbero un’energia potenziale di 3.300 MW. Un sistema del genere dunque potrebbe trovare applicazione in tutto il mondo, dal delta del Gange alla foce del Mississippi, senza causare danni all’ambiente né all’ecosistema, e a pieno regime – sempre teoricamente – fornire fino al 7 % del fabbisogno energetico globale.
Il miglior sistema per poter sfruttare questo potenziale consiste nell’elettrodialisi inversa (RED) che si avvale di speciali membrane selezionatrici dei soluti e su cui si ancorano le principali difficoltà. Le recenti ricerche nel campo, si sono focalizzate sull’applicazione delle stesse membrane impiegate nella desalinizzazione per usi per la depurazione delle acque reflue. Sfruttando i progressi ottenuti, Veerman e il suo team ha messo a punto una pila contenete al suo interno due membrane, una permeabile a ioni positivi e l’altra a ioni negativi ed entrambe “water-proof”.
Quando l’acqua dolce e quella salata fluiscono simultaneamente attraverso camere alternate, gli ioni cloruro (carichi negativamente) scorrono spontaneamente attraverso una membrana e gli ioni sodio (carichi positivamente) attraverso l’altre nella direzione opposta. Questo movimento genera una differenza di potenziale tra la coppia di elettrodi collocati alle due estremità della pila. Il prototipo messo a punto nei laboratori del Westus possiede una potenza di soli 20 Watt, ma che si sono rivelati abbastanza per allettare l’azienda norvegese Statkraft che attiverà nel mese di maggio la prima centrale sperimentale a energia osmotica su larga scala a Tofte, una cittadina costiera vicino a Oslo. Saranno collocati ben 2 mila metri quadri di membrane che genereranno circa 4 kW – un quinto della quale però utilizzata per pompare l’acqua – con la previsione futura di costruire una centrale più grande in grado di produrre almeno 25 MW (il fabbisogno di circa 15 mila famiglie) entro il 2015. Inoltre Redstack e Wetsus stanno collaborando ad un progetto pilota in una miniera di sale ad Harlingen, nei Paesi Bassi settentrionali, con lo scopo di aiutare i ricercatori a valutare la scalabilità della tecnologia.
A livello dei possibili impatti ambientali, va considerato che il processo genera acqua salmastra, che tuttavia potrebbe semplicemente essere pompata o incanalata verso il mare. Ogni impianto inoltre richiede condotte per la raccolta e lo scarico delle acque, così come strutture per il trasporto dell’energia elettrica alla rete, rendendo pertanto chiaro la quantità di lavoro ancora da fare prima di poterne fare una nuova tecnologia su cui puntare.
h4{color:#FFFFFF;}. Stefania del Bianco