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Operazione “Top kill”: obiettivo raggiunto?

(Rinnovabili.it) – Dal 20 aprile fino a poche ore fa, il pozzo ha riversato in mare dai 2 ai 4 milioni di litri al giorno di petrolio nelle acque del Golfo del Messico. Dopo circa 38 giorni dall’incidente la British Petroleum è riuscita a trovare una soluzione, che si sta rivelando al momento efficace, alla catastrofe ambientale mai accaduta prima. Si chiama “Top kill”, l’operazione molto rischiosa attualmente in atto che consiste nell’inserimento di una sostanza fluida nel foro d’uscita del greggio al fine di portare a zero la pressione del petrolio e del gas in uscita; stabilizzata la pressione si procederà con la sigillatura della falla mediante l’uso del cemento. Per essere certi che l’operazione abbia avuto esito positivo si dovranno attendere uno o due giorni circa. Si tratta comunque di una soluzione temporanea, in quanto si potrà parlare di “scampato pericolo” solo una volta terminata la trivellazione di un pozzo sottomarino limitrofo al fine di ridurre definitivamente la pressione della falla. Magra consolazione visto che ormai la fuoriuscita di petrolio ha già causato considerevoli danni ambientali ed economici. In Louisiana più di 100 km di spiagge sono ormai ricoperte di petrolio, e una chiazza di oltre 90 mila km2 di greggio minaccia le acque oceaniche. Intanto il Presidente Obama sta già facendo saltare le prime teste: la prima a cadere è stata quella della direttrice della Mining management services, Elizabeth Birnbaum, responsabile dell’agenzia che concede le licenze per le trivellazioni. Nel programma di misure relative al disastro della Deep Horizon, l’amministrazione Obama ha incluso anche la sospensione delle trivellazioni off-shore nell’Artico fino al 2011. A tal proposito il WWF ha stilato un dossier intitolato “Ricerca e programma di sviluppo sull’intervento in caso di fuoriuscita di petrolio nell’Artico – Un decennio di risultati”:https://www.wwf.it/client/ricerca.aspx?root=25170&content=1, pubblicato il 26 maggio scorso, secondo il quale gli interessi dell’industria petrolifera in Alaska sono molto aumentati negli ultimi anni, circa 700 infatti le concessioni attive, rappresentando una minaccia e per l’ambiente e per le specie che abitano i ghiacciai, quasi tutte a minaccia d’estinzione. “Nonostante alcuni progressi tecnici, non saremmo in grado di ripulire la maggior parte delle fuoriuscite di petrolio nell’artico. Fattori meteorologici e umani e la mancanza di imbarcazioni a prova di ghiaccio nell’Artico dell’Alaska sono fra i fattori che limitano maggiormente l’efficacia di intervento”.

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