E’ sicuramente vero che in politica un conto sono le promesse elettorali, altra cosa è il metterle in pratica. Quando il candidato democratico alla Casa Bianca, Barack Obama, era impegnato nella sua entusiasmante e seguitissima campagna per le presidenziali con il suo semplice ma efficace slogan “we can”, molta impressione avevano alimentato le sue promesse politiche sull’ambiente e lo sviluppo sostenibile. Una attenzione alle questioni ecologiche, dopo otto anni di assoluto e totale disinteresse da parte di Bush, che sulla questione dell’energia pulita e dell’ambiente ha sempre mostrato una certa idiosincrasia, tutto impegnato ad aiutare i suoi amici petrolieri. Ora invece sembrava che l’ambiente potesse tornare ad assumere un peso centrale nella agenda politica americana e quindi internazionale. Centralità che il senatore dell’Illinois non ha mancato di ribadire anche nel primo discorso pronunciato appena avuta la certezza di aver sconfitto John McCain. “Anche se stanotte festeggiamo, sappiamo che le sfide che ci porterà il domani sono le più grandi della nostra vita: due guerre, un pianeta in pericolo, la peggiore crisi finanziaria del secolo”, ha avvisato Obama, aggiungendo però che “ci sono nuove energie da imbrigliare e nuovi lavori da creare”. l programma del candidato democratico non si discostava molto infatti dal pacchetto 20-20-20 elaborato da Bruxelles, ma è tarato sulla cifra 10: mettere fine entro 10 anni alla dipendenza dal petrolio, 10% di rinnovabili entro 4 anni, ridurre in 10 anni del 15% i consumi di elettricità.
Entusiasmo alle stelle fra ambientalisti ed operatori del settore che prevedevano e scommettevano su un forte rilancio degli investimenti nelle rinnovabili anche in Europa e in tutto il mondo dietro al traino della prima economia del mondo. Miliardi di dollari federali di investimenti in energia pulita, lotta alle emissioni di co2 con il rispetto del protocollo di Kyoto, promesse di 250.000 nuovi posti di lavoro proprio nelle energie pulite da qui al 2015. L’obiettivo era inoltre volto ad eliminare la dipendenza da importazioni petrolifere entro 10 anni, impegno che annunciava anche lo sfidante McCain, il quale, però, mirava a raggiungerla attraverso una maggiore produzione interna, mentre Obama si affidava allo sviluppo delle alternative e al miglioramento energetico. Attraverso l’attuazione di un sistema di commercio di permessi di emissioni, sul modello europeo, che mostrava però molte lacune ed è infatti naufragato immediatamente in Congresso, entro il 2020 gli USA avrebbero dovuto riportare le emissioni di CO2 al livello del 1990 e addirittura al 2050 le ridurranno dell’80%. Insomma all’inizio il suo impegno verde sembrava delineare una netta linea di demarcazione con il passato di Bush, ma invece già dopo qualche mese la realtà dei fatti ha clamorosamente rivoltato la frittata.
Appena insediatosi alla Casa Bianca di tutte queste belle promesse si è sentito parlare sempre meno, e l’impegno della amministrazione si è rivolto più che latro alla riforma sanitaria che ha costretto l’amministrazione a dovere scendere a patti con le lobbies di potere che governano Capitol Hill, spesso a scapito proprio dell’impegno sull’ambiente e sull’energia pulita. Poi l’incontro a Singapore con la firma di un accordo con la Cina che di fatto a pochi giorni dall’atteso vertice sul clima di Copenaghen, ne sviliva i contenuti e lo rendeva alla stregua dI un mero happening per ambientalisti. L’impossibilità infatti di raggiungere un accordo fra i due paesi più “inquinanti “del mondo sulla fondamentale questione delle emissioni, rappresentava il fallimento sostanziale di qualsiasi tipo di discussione del vertice sul clima. Poi la decisione piuttosto sorprendente di puntare sull’energia nucleare di terza generazione piuttosto che sulle rinnovabili. Infine la carenza legislativa dal punto di vista federale sul pacchetto clima, che ancora tarda a trovare un accordo nel congresso e quello fino ad ora uscito è una versione di molto annacquata rispetto alle mirabolanti promesse di Obama in campagna elettorale. Insomma se non una vera e propria retromarcia quantomeno una bella frenata sulle illusioni verde che tanto entusiasmo avevano provocato. Tropi interessi, troppe difficoltà hanno costretto evidentemente il presidente a sacrificare l’anello più debole della sua politica riformista, quello dell’ambiente, che da sempre sconta una quasi totale assenza di forti lobbies e grandi potentati economici. Chissà forse però Obama è caduto anche nel sempre più ricorrente errore che si imputa alla sinistra mondiale, è cioè quello di puntare sempre troppo all’idealismo a poco al realismo, di preferire la bellezza e la facilità degli slogan alla concretezza del fare. C’è da augurarsi che le promesse mancate di Obama possano presto, passata la buriana della riforma sanitaria e della crisi economica, possano nuovamente trovare un posto importante nella politica americana. Anche perché di tempo se ne è perso già abbastanza. E’ ora di agire, ma senza l’intervento dell’inquilino di Pensylvania Avenue difficilmente si potrà arrivare a qualche soluzione accettabile, al di là dei troppi discorsi che fino ad ora sono stati spesi sulla materia.