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Nucleare sì, nucleare no

Il programma nucleare del nostro governo impone una riflessione, forse un po' originale, sul downstream del sistema elettrico

A seguito della decisione governativa di avviare un programma per la realizzazione di impianti nucleari (si parla di almeno 10.000 MW), come era da attendersi, si è aperto un acceso dibattito, con l’inevitabile corollario dei confronti incrociati con le altre tecnologie disponibili per la generazione elettrica. Tuttavia fra le tante argomentazioni addotte pro o contro il ritorno al nucleare ne manca quasi sempre una, tutt’altro che irrilevante. Di solito si tende ad assumere che il downstream del sistema elettrico sia sostanzialmente ininfluente sulle scelte relative al mix produttivo. Lo si riduce insomma al ruolo di fondale fisso di un palcoscenico su cui si recita il copione “nucleare sì, nucleare no”.
Non è così, come conferma un’accurata lettura delle modalità di funzionamento del downstream di qualsiasi sistema elettrico, sintetizzabili nella curva di durata della potenza oraria richiesta sulla rete italiana, che per il 2007[1] è riportata in di seguito nella _figura 1_
L’anno scorso la domanda elettrica è stata sempre pari ad almeno 21.555 MW (domanda di base), assumendo valori via via crescenti con il diminuire della durata della richiesta, fino a un massimo di 56.882 MW. Poiché non esistono sistemi di accumulo dell’energia elettrica su larga scala a costi accettabili[2] e davanti a noi non abbiamo nemmeno la prospettiva di disporne in tempi non troppo lontani, la domanda di base può essere quindi soddisfatta solo da impianti di generazione che garantiscano la necessaria continuità produttiva: di conseguenza fra quelli a fonti rinnovabili possono contribuirvi i geotermici e a biomassa e, ma in misura ridotta, le altre tecnologie.
Secondo il position paper del governo italiano[3] il potenziale di elettricità prodotta dalla fonte geotermica arriverà al massimo nel 2020 a 1.300 MW rispetto a 711 MW del 2005, mentre quello da biomasse è stimabile alla stessa data in 3.000 MW circa. Siamo insomma lontani da livelli di potenza congruenti con la domanda di base del 2007.
Per di più, anche supponendo che un’efficace politica di efficienza energetica mantenga quasi inalterata la domanda elettrica complessiva di qui al 2020, proprio in virtù del suo forte impatto sui consumi essa indurrebbe anche un loro spostamento dalla fascia oraria di massima domanda alle altre fasce orarie, aumentando quindi la potenza necessaria a soddisfare il carico di base.
Una parte cospicua quest’ultima andrà pertanto coperta con impianti a combustibili fossili e, se ce la faranno, nel terzo decennio di questo secolo anche con centrali nucleari, mentre le fonti rinnovabili vecchie e nuove serviranno prevalentemente ad alimentare una significativa frazione dell’ulteriore fabbisogno di energia. L’ipotetica produzione futura di energia elettrica con impianti nucleari non entrerebbe quindi in significativa concorrenza con quella proveniente dalle nuove fonti rinnovabili, come temono molti oppositori del nucleare (e anche molti sostenitori), trattandosi di investimenti prevalentemente finalizzati a soddisfare fasce diverse della domanda.
La reale alternativa sarà invece fra nucleare, importazione di energia (sempre che negli anni ’20 sia ancora disponibile in misura rilevante) e/o impianti alimentati da combustibili fossili. Una competizione che potrebbe diventare molto aspra se, com’è probabile, si avrà una ridotta crescita dei consumi elettrici a seguito della realizzazione degli obiettivi di efficienza energetica stabiliti dall’Unione Europea, in cui ad avere la peggio, dati i loro costi marginali, sarebbero i cicli combinati. Poiché questi per la domanda non di base subirebbero altresì la concorrenza della nuova produzione da fonti rinnovabili[4], con l’entrata in funzione di una considerevole potenza nucleare si arriverebbe al paradosso di dovere mettere praticamente fuori servizio qualche migliaio di MW in esercizio solo da una ventina di anni o anche meno; scelta che in più di un caso penalizzerebbe proprio le imprese che avessero deciso di realizzare impianti nucleari.
Si tratta di un’ipotesi appropriata per un racconto di fantaeconomia, ma non per un realistico business energetico, che all’interno di quest’ultimo, introduce un ulteriore ostacolo all’attuazione del programma nucleare.

*1* TERNA, Dati statistici sull’energia elettrica in Italia – 2007, Roma, 2008.
*2* L’unica soluzione esistente – gli impianti idrici di pompaggio – è già utilizzata in Italia e anche per questioni ambientali difficilmente potrà crescere in misura significativa.
*3* Energia: temi e sfide per l’Europa e per l’Italia. Position Paper del Governo italiano, Roma, settembre 2007.
*4* A. Clô, S. Verde, 20-20-20: il teorema della politica energetica europea, in «Energia», n. 4, 2007, p. 10.