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Nucleare, accordo con la Russia. Ma uno spot potrà convincere gli italiani?

All’indomani del vertice tra Berlusconi e Putin, l’Italia accelera sulla strada dello sfruttamento dell’energia atomica. E intanto il Governo studia una campagna di informazione sulla Rai per vincere le resistenze dei contrari

Sono bastati ventiquattro anni a cancellare la paura di una nuova Chernobyl. La paura della Russia, che ha vissuto la sua più atroce esperienza nucleare, e quella dell’Italia, che più di vent’anni fa al nucleare aveva voluto rinunciare per sempre. Ventiquattro anni per capovolgere le sorti del destino energetico di due nazioni e per fare dell’asse Italia-Russia il modello di sviluppo dell’energia dell’atomo da qui ai prossimi anni. Anche la scelta della data dell’annuncio del nuovo programma nucleare italiano, dato durante la conferenza stampa nella dimora settecentesca di Villa Gernetto di Lesmo, dal presidente del consiglio Silvio Berlusconi, dopo la due giorni di incontri con il premier russo Vladimir Putin, non è stata casuale: il 26 aprile 2010. Esattamente il giorno del 24esimo anniversario del disastro della piccola città ucraina che fece tremare l’Europa e il mondo. Un modo per esorcizzare la paura e fare il punto sulle prospettive dei due paesi sulla politica energetica e gli investimenti: “Abbiamo parlato molto del futuro dell’energia nel mondo – ha esordito Berlusconi – e siglato un accordo che può segnare una svolta per il nucleare. Un progetto che potrà cambiare gli scenari della produzione di energia per le generazioni future”.

Ma se le prospettive di collaborazione sono più che mai fortunate tra Italia e Russia, quello su cui il Governo ora vuole accelerare è il tempo. La “prima pietra” per la costruzione di una nuova centrale nucleare sul territorio italiano sarà posata entro tre anni. Lo stesso premier Berlusconi ha assicurato che il ministro dello sviluppo economico Claudio Scajola è intenzionato a far partire i lavori entro questa legislatura. Tutto pronto quindi, per partire. Putin ha assicurato che la Russia darà supporto tecnologico all’Italia, in particolare per la forniture di combustibile e lo smaltimento delle scorie, ma, allo stesso tempo, finanzierà la costruzione degli impianti, rafforzando il legame di “amicizia” e gli investimenti nel nostro Paese. Un futuro che non spaventa affatto Putin, visto il successo e la solidità degli accordi già siglati in altri ambiti con le aziende italiane. Dapprima era stato il gas a spalancare le porte commerciali di Italia e Russia, con l’intesa Eni-Gazprom, poi le auto, con l’alleanza Fiat-Sollers. Dopo ancora erano state le nuove tecnologie a celebrare il matrimonio tra le aziende dei due paesi, con l’alleanza Finmeccanica-Russian Tech, ma ora che anche l’atomo diventa terreno di investimento, il fronte di cooperazione si allargherà sempre di più. A Villa Gernetto Berlusconi e Putin non hanno solo siglato un patto strategico, ma hanno dato il via libera alla cooperazione tra Enel e la russa Rao Ues, per lo sviluppo di una centrale di terza generazione a Kaliningrad. Tutto questo, meno di 23 anni fa, non sarebbe potuto succedere. Nel 1987 uno dei tre quesiti del referendum sul nucleare chiedeva agli italiani di esprimersi proprio sull’esclusione della possibilità per l’Enel di partecipare ad accordi internazionali per la costruzione e la gestione di centrali nucleari all’estero. Con più di 18 milioni di “si”, gli italiani vollero abrogare questa norma. Stesso destino per gli altri due quesiti referendari. Abrogata la norma che consentiva al Cipe, Comitato interministeriale per la programmazione economica, di decidere in merito alla localizzazione delle centrali nel caso in cui gli enti locali non avessero deciso entro i tempi stabiliti, così come quella che stabiliva un compenso per i comuni che ospitavano centrali nucleari o a carbone.
Oggi, la paura è evidentemente superata e archiviata nel cassetto della memoria. Si torna a parlare di “compensi” per i comuni che ospiteranno le centrali, con tariffe elettriche agevolate. E intanto il Governo non fa nessun passo indietro sul testo del decreto legislativo n.31 del 15 febbraio 2010, che ha disciplinato la localizzazione nel territorio nazionale di impianti di produzione di energia elettrica nucleare, di impianti di fabbricazione del combustibile nucleare, dei sistemi di stoccaggio del combustibile irraggiato e dei rifiuti radioattivi.

Il 26 aprile 1987 non fa più paura nel 2010. La mano tra Putin e Berlusconi è stata stretta e le prospettive d’investimento nel nucleare italiano fanno gola alla Russia. Rimane solo un piccolo scoglio da superare: quello del consenso. Il consenso della nazione, della popolazione, compatta 23 anni fa, nella bocciatura dell’energia dell’atomo. Gli italiani, dopo la paura, stanno affrontando la fase della diffidenza, dello scetticismo e della necessità di essere informati. Non vogliono puntare alla cieca sul futuro energetico della loro nazione e ascoltano, ogni anno, con ansia le notizie che arrivano dalle centrali dei “cugini” francesi, nonostante le rassicurazioni arrivate dopo gli accordi tra Berlusconi e il presidente francese Sarkozy. Prima ancora di sapere dove e soprattutto come verrà realizzata, da qui a tre anni, la prima centrale nucleare italiana, bisogna fare una campagna di informazione. E’ questo l’obiettivo del Governo che, però, non ha dato riferimenti sulla base scientifica necessaria a informare “gli indecisi”, mobilitare i favorevoli e ridurre le perplessità dei contrari. Basta che “cambi l’opinione pubblica italiana”, ha spiegato Berlusconi, dimenticando, solo per un momento, il rigore scientifico e l’univocità dei risultati delle molte ricerche condotte sulla sicurezza degli impianti.
Far tornare una nazione all’energia dell’atomo, quando è stata contraria per 23 anni, non è impresa da spot televisivo. Anche se la formula che verrà studiata per comunicare alla nazione sarà proprio quella. “Dobbiamo fare una vasta opera di convincimento guardando alla situazione francese – ha detto il Presidente del Consiglio – in Francia le comunità locali scendono in campo per avere le centrali in casa loro perché hanno ormai raggiunto una consapevolezza della non pericolosità degli impianti, che portano anche tanto lavoro”. Poi l’annuncio della campagna mediatica sulle reti Rai: “Ne ho parlato con esponenti della nostra tv di Stato, stiamo lavorando a un progetto per raccogliere le esperienze dei francesi che vivono vicino le centrali e trasmetterle in Italia. È un lavoro che durerà più di un anno, ma è necessario”.
Sacrifici informativi necessari per rendere la nostra nazione competitiva, ma anche costi crescenti che dovranno essere gestiti con molta cautela. L’Italia già paga un prezzo molto alto per il suo passato nucleare. Nessun disastro, nessun vantaggio energetico e nessuna centrale attiva: eppure il nostro Paese spende per il nucleare un vera montagna di soldi, grande più di una manovra finanziaria, circa 12 miliardi di euro. A tanto ammonterebbe la cifra che gli italiani hanno pagato dalla chiusura delle vecchie centrali a oggi per la gestione delle scorie radioattive, senza che sia stato ancora indicato il deposito unico nazionale. Dati contenuti in un dossier dei Verdi che, proprio nel giorno dell’anniversario dell’incidente di Chernobyl e si sanciva il patto Italia Russia a Villa Gernetto, protestavano di fronte a Piazza Montecitorio, inscenando, con l’aiuto di un plastico di una centrale, un incidente come quello di 24 anni fa che ancora, per molti, non è stato archiviato nel cassetto giusto della memoria.