Chiarito da parte di alcuni scienziati statunitensi il processo termo-chimico con cui la molecola di fulvalene diruthenium è in grado di catturare l’energia termica e cederla quando richiesto
(Rinnovabili.it) – Quando si parla di sfruttare l’energia del sole si pensa inevitabilmente agli impianti fotovoltaici e a quelli solari termici. Eppure esiste un altro approccio, il cui potenziale è stato valutato già decenni fa, ma per il quale finora mancava un modo per sfruttarlo in maniera pratica ed economica. Parliamo dell’approccio termo-chimico, in cui l’energia del sole viene catturata nella configurazione di alcune molecole che possono poi liberarla su richiesta per la produzione di calore utile. A differenza dei tradizionali sistemi solari termici, che necessitano di sistemi di isolamento molto efficaci per ridurre al minimo le perdite del sistema, nei prodotti chimici l’accumulo di calore può rimanere stabile per anni.
Nel 1996 la ricerca portò a focalizzare un particolare composto in grado di immagazzinare e rilasciare il calore ma poiché per funzionare doveva contenere rutenio, un elemento raro e costoso, il sistema non risultava conveniente e per molto tempo il meccanismo di funzionamento rimase del tutto oscuro. A risolvere il problema, ben 14 anni dopo, arrivano i ricercatori del MIT grazie allo studio di una molecola che prende il nome di _fulvalene diruthenium_ e che ha permesso agli scienziati di capire nel dettaglio il funzionamento di questo processo. In sostanza, la molecola subisce una trasformazione strutturale quando assorbe la luce solare, posizionandosi in uno stato ad alta energia in cui può però rimanere stabile a tempo indeterminato. Successivamente con una piccola aggiunta di calore o di catalizzatore, fulvalene diruthenium torna di nuovo alla sua forma originale, rilasciando energia termica nella transizione. “È emerso che c’è un passaggio intermedio che svolge un ruolo fondamentale”, ha spiegato Jeffrey Grossman del Dipartimento di Scienza dei Materiali e Ingegneria. In questa fase intermedia, la molecola presenta una configurazione semistabile tra i due stati precedentemente descritti. “E’ stato inaspettato”, ha affermato Grossman.
In teoria, spiega lo scienziato, questo rende possibile la produzione di una “batteria termica ricaricabile” capace di immagazzinare e rilasciare ripetutamente il calore raccolto dalla luce solare o da altre fonti. Rispetto ad altri approcci in quello termo-chimico esistono dei vantaggi non trascurabili: è reversibile, è in grado di rimanere stabile per un lungo periodo, può essere effettuato ovunque e su richiesta. Ovviamente il problema della rarità del rutenio e il suo costo rimangono il punto critico, ma Grossman è convinto che ora che il meccanismo alla base è noto sarà più facile nel futuro trovare altri materiali che presentino lo stesso comportamento. Questa molecola “è il materiale sbagliato, ma dimostra che tutto ciò è possibile”.