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L’ultimo lembo intatto di boschi e campagna

È l’ultima campagna integra. Si estende in una depressione tra la Serra di Poggiardo e quella di Supersano, con dieci paesi che fanno da corona (Maglie, Scorrano, Botrugno, San Cassiano, Nociglia, Supersano, Casarano, Ruffano, Collepasso e Cutrofiano). Era la terra (nel cuore del Salento) coperta dal bosco del Belvedere, un grande polmone di querce e cerri. Ora è il più continuo ed esteso oliveto: 5500 ettari con 10mila alberi, centinaia dei quali secolari. Questa depressione, che si chiama Paduli, è un labirinto di strade rurali, canali, vore, canneti, pezzi di bosco tra distese di ulivi piantati senza un ordine geometrico, uno accanto all’altro, tutti produttivi. In questa oasi è iniziata una corsa disordinata per installare pale eoliche ed estesi impianti fotovoltaici. Ogni comune fa corsa a sè. Ha cominciato Ruffano con 11 aerogeneratori da due megawatt ciascuno, poi sono arrivati gli altri: Nociglia, in attesa del via libera definitivo, Scorrano, Supersano, Miggiano e gli altri in attesa. Sono una quarantina, nel Salento, i «parchi eolici» in pista di lancio. Il paesaggio e l’assetto del territorio sono destinati a cambiare profondamente. Nessun decisore (ma ce ne è qualcuno?) è in grado di fermare questa corsa e di determinare una pianificazione. E così ogni comune fa la sua corsa solitaria alle royalties.

Debolezza istituzionale e carenza di visione economica: così il Salento sta perdendo l’occasione di utilizzare in modo produttivo le energie alternative. Con un solo aerogeneratore, un comune potrebbe contare su entrate uguali alle briciole che incasseranno da 30 pale. Ogni pianta di Belvedere ha preso il posto di una quercia che i carbonai di Nociglia hanno sradicato nei secoli per farne legna da ardere o che i falegnami hanno utilizzato per realizzare traversine delle ferrovie. Terra amena, avrebbero detto gli antichi romani, e non orrida. Orrida lo è stata un tempo, luogo di fantasmi, paludi, intrico di vegetazione. Poi, l’uomo, con un lavoro durissimo, ne ha fatto un giardino di ulivi. In questo inverno piovoso, ruscelli si sono formati con le acque che dalle serre scendono verso la piana. Fino a 170 anni fa, sotto la serra di Supersano, c’era un lago per tre quarti dell’anno paradiso dei cacciatori e riferimento per le migrazioni degli uccelli. Poi un fossaro di Soleto, Giuseppe Manni, come ha rivelato il geografo Cosimo De Giorgi, riuscì a sfondare lo strato di argilla e l’acqua defluì in una cavità carsica. Il laghetto si chiamava Sombrino. Adesso l’acqua è raccolta dai canali della bonifica e si disperde nelle vore. A metà costone c’è un casale che dalla palude ha preso il nome ed è stato trasformato in agriturismo molto frequentato. Un po’ più su la masseria delle Stanzìe recuperata anch’essa.
I Paduli hanno dato da mangiare a generazioni di contadini. Migliaia di persone, partendo ogni mattina dai comuni della cintura, hanno disossato, recuperato suoli agricoli, arato, piantato ed eretto muretti per bloccare l’irruenza dell’acqua. Un lavoro durato secoli. Non si poteva vivere nei Paduli. Per questo le masserie e i casali sono dislocati nelle zone più alte. Ma la campagna vive con la presenza dell’uomo. La gente lavora, nascono aziende, c’è chi ha avviato fattorie per produrre ortaggi biologici. Sarà la crisi economica, sarà il richiamo della terra, ma sempre più persone guardano alla piana come un’occasione preziosa. La campagna del Salento non esiste più. Troppo urbanizzata a causa delle seconde e delle terze case. Gli inglesi recuperano i casali. I salentini cementificano. Resistono pezzi di territorio integro. E i Paduli sono uno di questi. Riconoscere la bellezza di un territorio comporta il superamento del torpore emotivo. Vivere il paesaggio non è semplice contemplazione. Pensare un territorio come luogo da valorizzare per la vita non significa stravolgerlo. E’ quello che sta accadendo a Paduli. Centinaia di pale eoliche e distese di fotovoltaico: non può essere questo il destino dell’ultima campagna del Salento. [t.t.]