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Liberalizzazione 3/I precedenti: l’esperienza inglese

La Direttiva comunitaria 96/92/CE ha introdotto norme comuni finalizzate a realizzare una graduale liberalizzazione nel mercato elettrico. In alcuni Paesi europei, già prima dell'emanazione della direttiva, era stato avviato il processo di liberalizzazione. Il precursore di tale tendenza è stato il Regno Unito, che ha aperto il mercato elettrico alla concorrenza con un percorso partito già nel 1990 e conclusosi nel 2001

Alla fine degli anni 80 il sistema elettrico britannico era gestito dal CEGB (Central Electricity Generating Board). L’ente nasce nel 1947 come British Electricity Authority (BEA), per dare unitarietà ad un settore in quegli anni molto frammentato; BEA era responsabile della generazione e della trasmissione ad alta tensione dell’elettricità, mentre la distribuzione e la vendita erano demandate a 14 Area Electricity Boards (AEB). Nel 1957 la BEA è stata ristrutturata ed ha assunto il nome di CEGB. Il gestore elettrico, fino alla liberalizzazione, operava in condizioni di quasi monopolio, coprendo il 95% della richiesta di energia elettrica; il rimanente 5% era diviso fra piccoli produttori, centrali nucleari non di sua proprietà e importazioni dalla Francia.
Sulla base dei criteri delineati nel Libro Bianco “Privatizing Electricity” dal governo Thatcher, a partire dal primo aprile 1990 il sistema è stato suddiviso in quattro grosse tranche: generazione, trasmissione, distribuzione e vendita.
Le attività di generazione sono state aperte alla concorrenza; la CEGB è stata suddivisa in 3 diverse società, National Power (52% capacità installata), PowerGen (33% capacità installata) e Nuclear Electric (ora British Electric con il 15%). Le prime due società sono state privatizzate fin dal primo momento, mentre la Nuclear Electric è stata offerta ai privati solo dopo qualche anno.
La distribuzione a bassa tensione è stata affidata, su base geografica, a 12 società autonome denominate Regional Electricity Company (REC), operanti in regime di monopolio. Le REC sono quotate nel mercato borsistico dal dicembre 1990, ma il governo ha mantenuto fino al marzo 1995 una golden share che gli permetteva un certo potere decisionale.
La trasmissione ad alta tensione sull’intero territorio nazionale è stata affidata ad un’unica società, la National Grid Company (NGC); la società è posseduta dalle 12 REC ma lo statuto societario le attribuisce un opportuno grado di autonomia tale da garantire una certa imparzialità a servizio dell’intero mercato.
Per favorire la concorrenza è stata incentivata la costituzione di nuove società indipendenti produttrici di energia, autorizzate a stipulare contratti diretti con grossi clienti o con enti di distribuzione dell’energia, nonché a potersi presentare sul mercato all’ingrosso dell’elettricità (Electricity Pool). Quest’ultimo, una sorta di borsa dell’elettricità, nonostante i buoni intenti, non ha avuto l’effetto sperato, rendendo di fatto poco concorrenziale il mercato elettrico. Per tale motivo, nel 2001, il sistema di scambio è stato rivoluzionato con l’introduzione del New Electricity Trade Agreement (NETA); tale regime permette la negoziazione dell’elettricità all’ingrosso tramite contratti bilaterali, con una garanzia del meccanismo centrale che interviene a compensare surplus e carenze.
L’ultimo anello della catena, ossia la vendita al cliente finale, ha subìto anch’esso un’apertura progressiva alla concorrenza. Già dall’aprile 1990 gli utenti con un consumo superiore ad 1 MW hanno potuto acquistare l’elettricità direttamente dai produttori e da REC di altre regioni del Paese. Nel 1994 questa possibilità è stata estesa agli utenti con consumi compresi fra 100 kW ed 1 MW; la liberalizzazione è stata completata generalizzando tale facoltà a tutti gli utenti a partire dal maggio 1999.
La supervisione dell’intero sistema è garantita dall’OFFice of Electricity Regulation (OFFER) ed, in modo particolare, dal Director General of Electricity Supply (DGES); tale organo ha molteplici poteri, le sue decisioni sono immediatamente vincolanti ed inoltre ha facoltà di trasferire le proprie osservazioni alla Monopolies and Mergers Commission, innescando così un’indagine ufficiale.

*Gli effetti della liberalizzazione*

Il mercato elettrico britannico, a seguito della completa liberalizzazione, ha avuto un inevitabile cambiamento: investimenti esteri, fusioni tra compagnie ed acquisizioni di società sono ormai diventati fatti abituali tra gli operatori privatizzati. Il settore della generazione è totalmente mutato: da uno altamente concentrato si è passati ad una molteplicità di compagnie ed alla messa in rete di molti nuovi impianti. Ciò ha comportato la riorganizzazione tecnico-gestionale delle società, la ridefinizione degli organici, la chiusura di impianti resi ormai obsoleti e l’esternalizzazione di attività quali progettazione o manutenzione. Le società elettriche hanno inoltre potuto godere di notevoli riduzioni nel costo d’acquisto del combustibile; svincolate da obblighi verso l’industria nazionale del carbone, hanno potuto liberamente negoziare prezzi decisamente più bassi (anche se non sempre tali benefici si sono riversati sugli utenti finali). Il settore della trasmissione ad alta tensione è stato quello in cui non si è avuto un grande riassetto strutturale; se è vero che esistono molte compagnie che si occupano del trasporto dell’energia elettrica è altrettanto vero che esse utilizzano un’unica rete infrastrutturale, di proprietà del NGC. Allo stato attuale della tecnologia, duplicare tali infrastrutture sarebbe antieconomico per la totalità degli operatori. La distribuzione a bassa tensione vede invece una molteplicità di compagnie operanti, grazie anche al fatto che quelle che non dispongono di una propria rete possono pagare per utilizzare quella di altri gestori. Così i fornitori non necessitano di proprie infrastrutture, il che aiuta a produrre liquidità nel mercato elettrico e spinge al ribasso dei prezzi. L’attività di vendita al consumatore finale è stata progressivamente aperta alla concorrenza, sottraendola al monopolio delle REC, le quali ribaltavano i maggiori costi dell’energia acquistata sulla bolletta dell’utente. A distanza di circa un decennio dall’avvio della privatizzazione, però, non si erano ridotti i prezzi sull’utente finale, se non in maniera molto limitata; la riforma del mercato all’ingrosso avvenuta nel 2001 con l’introduzione del NETA ha invece innescato un forte meccanismo di competizione che si è poi tradotto in benefici sul consumatore, sia in termini di efficienza del servizio, che in termini di costi. Un enorme cambiamento si è avuto con la privatizzazione del National Grid, il gestore della trasmissione. Una maggiore libertà di innovazione, maggiore efficienza nella gestione delle congestioni e dei costi ed infine la possibilità di prendere decisioni di lungo termine senza il timore che cambiamenti nella politica governativa possano interferire con tali programmi, sono solo alcuni dei benefici ottenuti.
Rimangono due grossi problemi aperti nel mercato elettrico britannico. Il primo riguarda la probabilità che una piena liberalizzazione nel mercato delle forniture energetiche porti ad una concentrazione a livello di servizi offerti; ciò causerebbe l’emergere di poche grandi multi-utilities che forniranno all’utenza elettricità, gas e acqua in maniera integrata, con ovvie conseguenze sul meccanismo della concorrenza. Il secondo nodo irrisolto riguarda le garanzie sulla fornitura di elettricità. Il sistema elettrico deve essere in grado di soddisfare la “normale” richiesta di energia mantenendo però una capacità installata capace di coprire gli eventuali picchi di consumo. Tale necessità diventa ancor più pregnante in un territorio, quale quello del Regno Unito, con limitate interconnessioni con sistemi elettrici esteri in grado di offrire copertura in casi di emergenza. Nel precedente assetto centralizzato la previsione sull’evoluzione della domanda veniva svolta dall’unico gestore elettrico; con la liberalizzazione viene a mancare un organismo di pianificazione centrale. Il mantenimento di impianti destinati ad essere utilizzati solamente per poche ore all’anno per sopperire a rari picchi di domanda si presentano, inevitabilmente, come investimenti poco remunerativi per gli operatori; salvo nel caso in cui non intervenga la mano pubblica con incentivi ad hoc per compensare tale onere.
In entrambi i casi si ravvisa la difficoltà nell’implementare efficaci meccanismi di autoregolamentazione del mercato, rendendo così necessario l’intervento di un organo di governance centrale (statale) che possa decidere su eventuali squilibri concorrenziali o distorsioni nei programmi di investimento degli operatori privati.