Solo con una normativa che regolamenti il comparto, i biocarburanti potranno rivelarsi una manna dal cielo nella lotta al cambiamento climatico. Legambiente e Chimica Verde hanno chiesto al governo di tener conto delle problematiche relative al cambio indiretto d’uso del suolo
(Rinnovabili.it) – Biocarburanti, rotazione delle colture e una politica sostenibile che ne regolamenti le attività. Ecco le richieste che Legambiente e Chimica Verde hanno avanzato al Governo durante il convegno “Lo sviluppo dei biocarburanti e il consumo di suolo agricolo”. Le previsioni annunciano infatti che l’Italia raggiungerà, entro il 2020, la posizione di quarto produttore in Europa di gas serra legati proprio ai biocarburanti, con una produzione che potrà variare dai 2,6 ai 5,2 milioni di tonnellate di CO2 l’anno.
Accadrà questo qualora il paese non decidesse di correre ai ripari e stabilire norme per la produzione e il commercio di carburanti sostenibili, tenendo sempre conto delle problematiche legate al cambio d’uso del suolo.
“Se il governo italiano e l’Unione Europea non affronteranno correttamente il problema dell’uso del suolo per produrre cibo e produrre energia rischiano di vanificare la lotta all’effetto serra e di creare ulteriori danni agli ecosistemi – ha spiegato Beppe Croce, responsabile non-food per Legambiente -. La produzione di biocarburanti sostenibili è possibile e doverosa per uscire dalla dipendenza dalle fonti fossili, ma solo se il cambio d’uso indiretto del suolo verrà tenuto in conto nelle direttive UE”.
A livello europeo entro il 2020 i biocarburanti dovranno rappresentare il 9,5% dei combustibili impiegati nel settore trasporti e la minaccia è rappresentata dal fatto che, qualora non si arrivasse ad una normativa ad hoc, il 92% dei carburanti green potrebbero essere prodotti da coltivazioni lavorate su terreni precedentemente utilizzati per colture alimentari. A rivelarlo uno studio dello IEEP (Institute for European Environmental Policy) che ha ipotizzato un cambio indiretto d’uso del suolo che sarà la causa di danni agli ecosistemi, derivanti soprattutto dalla necessità di ricercare sempre nuovi terreni agricoli. Tale fenomeno potrebbe portare alla riconversione di 69,000 chilometri quadrati di terreno appartenente al nostro continente, ossia un’area che per estensione equivale alla superficie del Belgio procedendo così alla deforestazione di ampie zone che potrebbero essere la causa, rivelano i dati, della produzione di un quantitativo di CO2 superiore rispetto agli attuali inquinanti prodotti dai combustibili fossili, quantitativo calcolato tra i 27 ai 56 milioni di tonnellate. In questo modo verrebbero superati anche i limiti di emissioni che fanno di un carburante un prodotto adatto ad essere definito bio. Attualmente infatti le direttive comunitarie impongono il calcolo, sull’intero ciclo di vita, delle emissioni generate da un carburante alternativo che, per essere definito tale deve provvedere ad una riduzione delle emissioni di gas serra del 35% rispetto ai combustibili fossili, limite che nel 2050 dovrà arrivare al 50%, percentuale che potrebbe essere di gran lunga disattesa qualora il meccanismo di cambio d’uso indiretto del suolo non venisse regolamentato.
“Per i biocarburanti – ha aggiunto Luca Lazzeri, presidente di Chimica Verde – dobbiamo puntare su filiere corte, prodotti di scarto e su tutte le colture che non richiedano la conversione di terre, utilizzando per esempio i terreni marginali che comunque non sono coltivati. Dobbiamo inoltre sfruttare la rotazione fra colture di cibo e colture per biocarburanti, perché alternando le une alle altre si arricchisce il terreno e non si ha una perdita di produzione alimentare”.