Rinnovabili

La road map del nucleare italiano

Si riparte. L’Italia riapre i cantieri del nucleare per la costruzione di un deposito di scorie e di alcuni impianti di nuova generazione di tipo EPR- European Pressurized Reactor – tecnologia garantita dai francesi e in fase di realizzazione nella centrale nucleare finlandese di Olkiluoto ed in quella di Flamanville in Francia.
Per l’esattezza il rilancio del nucleare italiano viene definito il 24 febbraio 2009 con il memorandum of understanding firmato tra Enel ed EDF in cui viene prevista la costruzione di 4 centrali nucleari EPR in Italia, operative tra il 2020 e il 2023, per un totale di 6600 MW, di fatto anticipando l’attesa da parte dei molti sulla adozione di uno strumento di pianificazione come quello della Strategia Nucleare.
In seguito a tale accordo il legislatore nazionale approva una serie di provvedimenti che definiscono il percorso da intraprendere affinché possano essere riaperti i cantieri per la costruzione delle centrali nucleari e quelli del deposito nazionale destinato allo smaltimento: A. _a titolo definitivo, dei rifiuti radioattivi a bassa e media attività derivanti da attività industriali, di ricerche mediche sanitarie e della pregressa gestione di impianti nucleari;_ B. _a titolo provvisorio di lunga durata, dei rifiuti ad alta attività e del combustibile irraggiato proveniente dall’attuale esercizio degli impianti nucleari._
Un percorso che riporta notevoli ritardi generati da vari fattori e che appare, a dirla come il Direttore Generale del MATT Corrado Clini, un “gioco dell’oca” nella piena convinzione del rischio di fare un passo avanti ed uno indietro.
La prima pietra, non si è capito se per la costruzione del deposito o per la centrale, è prevista nel 2013. Allo stato attuale, dei 34 provvedimenti che servono a definire le norme tecniche e amministrative per produrre i progetti ed autorizzare gli impianti, solo 2 sono stati approvati, e gli altri 32 o sono ancora nei cassetti o viaggiano tra un ministero e l’altro.
Il ritardo sulla road map ha tenuto basso anche il livello di conflitto sociale che potrebbe generarsi con le popolazioni nel momento in cui verranno indicate le aree idonee ad ospitare il deposito e le centrali. Rimangono, infatti, ancora non del tutto risolti i problemi di sicurezza nel nucleare oltre ad un basso livello di informazione a riguardo. La scarsa conoscenza è dovuta in parte all’impossibilità di ottenere spiegazioni plausibili sui processi e soluzioni che dovrebbero garantire la sicurezza dei cittadini. Nella consapevolezza diffusa sul nucleare, infatti, si arriva fino ad un certo punto, oltre il quale si parla di ipotesi: la gestione delle scorie di III generazione. Ad oggi non esiste al mondo un luogo idoneo per il confinamento in sicurezza delle scorie nucleari per migliaia di anni, tanto meno una procedura di messa in sicurezza di lungo periodo (parliamo di oltre 10mila anni) tale da garantire le popolazioni. Esistono numerosi studi, ma nessuno contiene esiti conclusivi sul problema. L’esempio americano appare il più rappresentativo: dopo 20 anni di ricerche si è deciso di chiudere il deposito dello Yucca Mountain per problemi legati alla sicurezza ed ai costi. Poi c’è l’esempio tedesco di Asse in Bassa Sassonia: i rifiuti radioattivi in oltre 126 mila fusti sono stati stoccati nelle profondità dell’ex miniera fra il 1967 e il 1979. Alcuni bidoni, però, hanno riportato delle crepe determinando la contaminazione dell’acqua della miniera ufficialmente dichiarata radioattiva nel 2008. Oggi viene continuamente pompata nella parte più bassa di Asse e si teme che la miniera ceda e si inondi completamente. All’inizio del 2011, ha reso noto “National Geographic”, si comincerà ad esplorare le camere di stoccaggio con robot comandati a distanza per accertare che non contengano gas tossici o esplosivi. Se tutto andrà bene, secondo gli esperti, ci vorranno vent’anni per rimuovere i fusti dall’ex miniera. Poi si tratterà di portarli in un luogo, non ancora individuato, che dovrà rimanere sigillato per decenni.

Questi presupposti incerti sulla gestione dell’intero ciclo del nucleare, generano una spontanea diffidenza in quei cittadini destinati a vivere vicino ad una discarica di rifiuti ad alta attività. Nessuno al mondo, ad oggi, può certificare quali effetti la discarica stessa possa creare nel tempo all’ambiente circostante. L’assenza di chiarezza genera timori ed ansie nei cittadini che sono portati a reagire con la disobbedienza civile come nel caso della protesta di Scanzano J.co, in cui si rifiuta decisamente la discarica nucleare. La scelta, quindi, difficilmente potrebbe discendere da un percorso condiviso con i cittadini, neanche con promesse di compensazioni. Osserviamo il caso della Campania. Probabilmente solo l’imposizione di una scelta sostenuta dall’uso della forza, con il rischio di una degenerazione democratica, potrebbe far raggiungere un risultato che determinerebbe altri problemi generabili dalla non accettabilità sociale di questo tipo di soluzione.
Anche dal Washington Post non arrivano segnali positivi per gli EPR. Secondo il quotidiano americano, la Constellation Energy Group (socia di EDF) che avrebbe dovuto realizzare il primo dei reattori EPR negli Stati Uniti, a Calvert Cliffs, ha cancellato il progetto di costruzione di una centrale nucleare, rinunciando a una garanzia bancaria pubblica da 7,5 miliardi di dollari che era stata concessa per incentivare l’impianto dal governo americano. Pochi giorni fa inoltre è stato reso noto il Rapporto Roussely, firmato dall’ex amministratore delegato di EDF, in cui si ammette un sostanziale fallimento dell’EPR la cui credibilità “è stata seriamente minata dalle difficoltà incontrate sia nel sito di Olkiluoto, in Finlandia, che a Flamanville, in Francia”.

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