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La risposta ai cambiamenti climatici è sotto i nostri piedi?

Un team del Newcastle University sta studiando mix di terreni in grado di sequestrare permanentemente ed in perfetta sicurezza la CO2 atmosferica

Per salvare il pianeta dal riscaldamento globale bisogna incominciare a sporcarsi le mani. E così hanno fatto alcuni ricercatori del Newcastle University, con la progettazione di uno speciale suolo in grado di catturare dall’atmosfera la CO2 in modo permanente e con un buon rapporto costo-efficacia. La ricerca, finanziata dal Engineering and Physical Sciences Research Council, è il primo tentativo di questo genere compiuto in tutto il mondo. Il concetto alla base della ricerca si ispira al comportamento di piante e alberi che durante la fotosintesi assorbono naturalmente l’anidride carbonica atmosferica, immettendo il surplus di carbonio attraverso le loro radici all’interno della terra. Nella maggior parte dei terreni il carbonio ritorna nell’atmosfera o filtra nelle acque sotterrane, tuttavia in quelli contenenti calcio e silicati, il team crede che questo carbonio reagisca con il calcio per formare carbonato di calcio, un minerale innocuo che rimane semplicemente nel suolo sotto forma di rivestimento in ciottoli o polveri. Attualmente i ricercatori stanno cercando di scoprire quale “mix” di terreno sia più in grado di produrre carbonato di calcio, miscelando vari compost e facendo crescere piante in questi terreni per monitorare continuamente l’accumulo del composto chimico. “Già da tempo gli scienziati conoscono questo processo di “affondamento” del carbonio, ma nessuno ha mai cercato di progettare suoli espressamente in grado di eliminare e bloccare in modo permanente il carbonio. Una volta confermata la fattibilità di questo metodo saremo in grado di sviluppare un modello e modelli che siano in grado di fissare il carbonio dell’aria e bloccarlo quando il più rapidamente possibile”. Inoltre un’opzione allettante sarebbe far crescere su queste terre colture bioenergetiche. “Il processo che stiamo esplorando potrebbe contribuire al 5-10% degli obiettivi di riduzione delle emissioni nel Regno Unito e prevediamo che già tra 2-3 anni si possano vedere le prime applicazioni”.

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