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La pelle dell’edificio diventa viva come il corallo

(Rinnovabili.it) – Quando si parla di edifici ‘viventi’ lo si fa con un chiaro riferimento al rapporto che lega l’architettura all’ambiente, inquadrando il costruito in fitta trama di interrelazioni con i materiali, le esigenze energetiche, la gestione e l’utilizzo dell’acqua e la qualità dell’indoor. La sfida accettata da molti nel mondo della progettazione vede prende corpo in edifici in grado di interagire con l’ambiente, soddisfando i propri bisogni termici ed elettrici in un equilibrio costante con l’ecosistema esterno. Ma c’è chi si è voluto spingere oltre e rendere il termine “vivente” in maniera letterale. La scuola di Architettura ed Edilizia dell’Università di Greenwich sta lavorando con altri atenei europei come la University of Southern Denmark, l’Università di Glasgow e l’University College London per sviluppare efficienti materiali di copertura edilizia attraverso l’impiego della biologia sintetica. Lo studio che ha preso il via da questa ricca collaborazione mira a creare una nuova generazione di “smart materials” che ridisegnino la superficie degli edifici come una sorta di corazza. L’idea è stata quella di utilizzare delle protocellule artificiali (microsfere molto semplici formate da una membrana proteica che racchiude un citoplasma) per fissare il carbonio atmosferico in maniera da creare un materiale simile al corallo che svolga un ruolo protettivo. In altre parole i ricercatori hanno realizzato delle bollicine d’olio in un fluido acquoso, molto sensibili alla luce o alle diverse sostanze chimiche. Il Center for Living Technology presso la University of Southern Denmark ha quindi reso tali cellule capaci di catturare la CO2 sciolta in soluzione per convertirla in materiali contenenti carbonio da impiegare a loro volta in strutture carbon-negative. “Abbiamo intenzione di utilizzare la biologia sintetica per creare applicazioni reali e su larga scala per l’edilizia”, spiega il professor Neil Spiller, direttore della Scuola di Architettura. “Vogliamo utilizzare le protocellule per fissare il carbonio in un rivestimento di precipitato che possa poi svilupparsi in una architettura simile a quella del corallo; un’architettura ad esempio che potrebbe pietrificare i pali che attualmente sostengono Venezia e distribuire il peso strutturale della città”.
Una prima dimostrazione di ciò che si potrebbe fare con le protocellule è stata data proprio nel padiglione canadese alla Biennale di Venezia 2010, attraverso l’opera _Hylozoic Ground_ di Philip Beesley, Professore associato di Architettura alla University of Waterloo. “Hylozoic Ground – suggerisce l’autore – può essere descritto come una struttura geotessile sospesa che gradualmente accumula un humus ibrido da ingredienti tratti dall’ambiente circostante. La struttura possiede funzioni simili a quelle di un organismo vivente ed è dotato di un’intelligenza artificiale diffusa che fa sì che l’interazione umana inneschi movimenti carezzevoli di respirazione, di deglutizione e di scambi metabolici ibridi”.

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