Le fonti naturali di energia, ovvero il sole e suoi “derivati” (vento, biomasse, idraulica, etc.), oltre alla geotermia e alla attrazione gravitazionale (prevalentemente quella tra la Terra e la Luna), possono costituire le basi di un nuovo sistema energetico che garantisca progresso senza “consumare” risorse non rigenerabili – come i combustibili fossili – ma utilizzando quelle rinnovabili.
Finora, le energie rinnovabili non sono state ritenute incondizionatamente competitive; e ciò per tre limiti che le caratterizzano:
l’aleatorietà (il sole oggi c’è, domani il tempo potrebbe essere nuvoloso; inaffidabile è anche il vento e, in parte, l’idroelettrico – soprattutto se di piccola taglia);
la discontinuità intrinseca (giornaliera e stagionale);
la bassa intensità energetica, se confrontata con le fonti fossili e con la enorme e e crescente domanda di energia che il sistema produttivo e sociale avanza oggi per alimentare lo sviluppo.
In questo scenario, l’adozione di un sistema che utilizzi efficacemente alcuni, selezionati vettori energetici può essere la soluzione che consenta di superare queste limitazioni e mutare il modello di sviluppo, di fornire elevata intensità energetica, ma anche di svincolarsi progressivamente dalla sua attuale dipendenza da risorse naturali esauribili. Si intende che il sistema dovrà essere basato, dapprima prevalentemente, poi esclusivamente, su fonti primarie rinnovabili.
Come è ormai noto, il problema non è trovare l’idrogeno, che è l’elemento più diffuso sulla Terra e probabilmente nell’universo, ma separarlo dalle altre sostanze (acqua o idrocarburi) alle quali è legato. E tale separazione richiede sempre una spesa energetica, dunque comporta una valutazione oculata dei possibili benefici.
L’idrogeno oggi disponibile è pressoché totalmente estratto dal metano, con un processo detto di reforming, che ha il pregio di essere ben avviato industrialmente, ma ha due difetti fondamentali: consuma gas naturale, cioè una risorsa non rinnovabile, e produce anidride carbonica, con ciò dando un contributo all’effetto serra.
L’idrogeno di domani deve perciò arrivare dall’acqua, ad esempio, sfruttando l’energia solare concentrata per realizzare la scissione termica dell’acqua in ossigeno e idrogeno, o dalle biomasse – cioè dalle forme vegetali che crescono e proliferano naturalmente sul pianeta. Questo è lo scenario più affascinante, difficile da realizzare, ma anche attraente. La realizzazione di un ciclo energetico chiuso e pulito dell’idrogeno può essere ottenuta attraverso i seguenti processi energetici “puliti”:
h3. 1 – Dall’Acqua all’acqua:
h3. oppure:
h3. 2 – Idrogeno da biomasse:
Sono dunque a portata di mano soluzioni che consentono di realizzare un consumo nullo di risorse non rinnovabili con un livello di “zero emissioni”. Tecnologie relativamente nuove, ma già provate, cui servono soltanto un sostegno sociale e politico convinto che le porti ad affermarsi su larga scala. Esse prevedono l’utilizzo di risorse rinnovabili, principalmente legate al sole, di gran lunga la principale fonte energetica del nostro pianeta (in un anno fornisce alla Terra una quantità di energia più di 10.000 volte maggiore di quella che usiamo) e di vettori energetici puliti.
A fronte di un impiego dell’elettricità crescente negli anni e in tutti i Paesi, il binomio idrogeno ed elettricità si propone come risposta realistica a tutte le richieste di energia per usi finali. Questo perché l’idrogeno è il miglior combustibile attualmente conosciuto, con il più alto contenuto energetico specifico (la sua combustione rende, a parità di peso, oltre tre volte il calore sviluppato dal petrolio) ed il più “pulito” , visto che il calore sviluppato dalla reazione di ossidazione è accompagnato solo dalla formazione di vapore d’acqua e, nel caso lo si bruci in atmosfera, di piccole quantità di ossidi di azoto.
L’idrogeno permette, dunque, una produzione diversificata e decentrata, garantendo in prospettiva anche la sicurezza dell’approvvigionamento (acqua o biomasse si trovano quasi dappertutto); ed è il combustibile di elezione per le celle a combustibile (ha la più semplice reazione di ossidoriduzione), tecnologia chiave per le applicazioni nei trasporti, ma anche per l’innalzamento deciso del rendimento di molti altri processi energetici.
Il mondo della ricerca, che traccia strade percorribili per la soluzione dei problemi principali (accumulo dell’idrogeno e produzione del combustibile da risorse non petrolifere) insieme al grande pubblico, che indica ad ogni occasione di volere ormai auto di una nuova concezione, case “non petrolifere” e città meno inquinate, chiedono più convinzione al “istema energia”.
Le Case automobilistiche e le compagnie petrolifere tardano a cogliere il messaggio. L’auto ibrida, il metano ed i biocombustibili sono puntelli che possono sorreggere il cammino dell’auto e dell’industria dei combustibili nei prossimi anni, ma immediatamente oltre serve una soluzione che risolva definitivamente il problema.
I prototipi a idrogeno prodotti da Bmw, Fiat, Ford, General Motors, Honda, Hyundai, Mercedes, Toyota provati su strada in questi anni dicono che quella soluzione è l’idrogeno e che occorre passare dai primi prototipi a primi prodotti. E lo stesso dicono studi, proiezioni di mercato ed addirittura campagne pubblicitarie planetarie di giganti del petrolio come BP, Shell, ExxonMobil, ChevronTexaco e Total.
Ma il tempo degli annunci è finito. Se nel prossimo decennio non si affermeranno le tecnologie della nuova specie con grandi numeri e con visibilità per il grande pubblico più significativa dell’attuale e se non arriverà il nuovo combustibile, autoprodotto nelle diverse aree geografiche, come è possibile producendo idrogeno da risorse locali o regionali rinnovabili, l’industria dell’energia avrà un problema serio. Il problema di sopravvivere.
*Vincenzo Naso*
(si ringrazia il Gruppo di ricerca GEA – Unità di Ricerca del CIRPS)
h3. Per saperne di più:
F. Orecchini, V. Naso, La società No Oil – Un nuovo sviluppo è possibile ma senza petrolio, Orme Editori, Milano, 2006.