Una dichiarazione d'intenti dove vengono indicate direttive per le energie rinnovabili, per il nucleare, per la produzione di biomassa ed una serie di normative che rendano più severa e sicura la politica ambientale della Ue
Oltre 60 parlamentari ed europarlamentari dei 27 paesi della Ue hanno redatto ”la Dichiarazione di Berlino”, con la quale si chiede che le norme sulle fonti di energia rinnovabile in preparazione alla Commissione si riveli una vera “direttiva-quadro” senza lati oscuri e che si preficgga traguardi ambiziosi. I membri parlamentari europei di Eufores, struttura mirata ad incentivare le rinnovabili in Europa, si sono dati appuntamento a Berlino per dibattere delle future politiche energetiche.
Mechtild Rothe, Presidente Eufores e Vice Presidente del Pe, ha ramentato che le tecnologie per le rinnovabili comportano minori emissioni di CO2 e maggior sicurezza di rifornimenti, ma consentono anche di sorreggere una crescita economica, oggi con oltre 350.000 nuovi posti di lavoro in Europa.
Nella “Dichiarazione di Berlino” Eufores fissa un quadro entro il quale si dovrà costruire la nuova normativa Ue, specificando che sarà necessario un approccio per settore in cui sia condiviso, giustamente e in modo trasparente, il target del 20% di energie rinnovabili tra i 27 stati membri e tra i tre differenti settori delle RES.
La Dichiarazione prende posizione negativa sull’uso dell’energia nucleare, chiedendo infatti, che vengano”prese in considerazione solo fonti di energie rinnovabili per raggiungere l’obiettivo obbligatorio del 20%”. Gli obiettivi globali e per settore andranno determinati in una riunione intermedia, nel 2015, per consentire un controllo del programma ed un eventuale aggiustamento del tiro della direttiva.
In tema di controlli, Eufores vorrebbe una Commissione in grado di sanzionare gli stati membri che non ottemperano gli standard decisi a Bruxelles. Infine richiede una procedura la quale certifichi che la biomassa, biocarburanti inclusi, sia ottenuta in modo sostenibile e quindi non a danno delle colture di prodotti alimentari, ma con scarti della catena produttiva agricola. (fonte Ansa)