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Inquinamento idrico: Greenpeace rivela i “Danni Nascosti”

L’associazione ambientalista denuncia gli elevati costi finanziari, ambientali e sociali che l'inquinamento industriale ha provocato negli ultimi tre decenni nel Nord del Mondo

(Rinnovabili.it) – L’inquinamento industriale è una grave minaccia per le risorse idriche in tutto il mondo, in particolare nel Sud del pianeta dove sembra prevalere l’opinione che uno dei prezzi da pagare per il progresso sia l’inquinamento stesso. Un punto di vista pericoloso e di solito associato a convinzioni errate come che le soluzioni al problema siano troppo costose, che la prevenzione sia difficile e poco pratica da realizzare o che qualsiasi effetto ambientale e sociale derivante possa essere affrontato in futuro. A peggiorare le cose è anche un fraintendimento di fondo, ovvero che gli impianti di trattamento delle acque reflue possano eliminare in maniera definitiva tutte le sostanze inquinanti presenti nell’acqua, qualunque sia il loro grado di tossicità. Questa visione ha portato alla veloce abitudine di gettare in acqua sostanze con proprietà persistenti e/o bioaccumulabili, spesso pericolose, comportando problemi a volte irreversibili per ambiente e salute.
Per aiutare ad individuare i pericoli nascosti negli ambienti acquatici Greenpeace ha redatto il rapporto “Hidden Consequences – The costs of industrial water pollution on people, planet and profit”:https://www.greenpeace.org/international/Global/international/publications/toxics/Water%202011/Hidden%20Consequences%20EXECUTIVE%20SUMMARY.pdf, documento testimonianza di quanto negli ultimi decenni l’inquinamento industriale abbia prodotto, in termini di conseguenze ambientali, di salute ed economiche, nelle regioni del Nord del Mondo.

L’associazione riporta alcuni casi studio come monito per i Paesi emergenti “perché essi sappiano difendersi” da quella visione che vuole l’inquinamento un male minore nella strategia d’inseguimento del profitto; a dimostrarlo sono ad esempio le costose opere di bonifica dai policlorobifenili dei fiumi Hudson negli Stati Uniti e Laborec in Slovacchia o il caso del Delta del Reno e le difficoltà incontrate per decontaminarlo dalle sostanze pericolose che vi erano state riversate. “Se non riusciamo ad imparare dagli errori del passato, allora saremo condannati a ripeterli – affermano gli autori. – Questo vale in particolare in quelle regioni del mondo dove è stata trasferita gran parte della produzione manifatturiera e chimica”. L’appello ambientalista che emerge dalle pagine della relazione invita i governi all’abbattimento di tutti i rifiuti nei corsi d’acqua dolce ponendosi l’obiettivo di raggiungere *’scarichi zero’*. L’unico modo – si legge nel rapporto – per affrontare questi pericoli nascosti è attraverso un approccio preventivo: azioni volte a eliminare progressivamente l’uso e lo scarico di sostanze chimiche pericolose, piuttosto che tentare di controllare i danni con metodi di trattamento “end-of-pipe”. Questo impegno deve essere abbinato ad un piano d’attuazione contenente obiettivi a breve termine, un elenco dinamico di sostanze pericolose che richiedono un’azione immediata e un registro pubblico dei dati sulle emissioni di scarico e sulle perdite di sostanze pericolose.

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