La drammatica situazione dei rifugiati climatici, soprattutto nel sud est asiatico. L'appello allarmato di Rabab Fatima, responsabile dell'Organizzazione internazionale per le migrazioni.
(Rinnovabili.it) – “I rifugiati ambientali hanno perso tutto. Si muovono verso i villaggi vicini e le città più immediatamente accessibili”.
Son parole terribili queste, riportate sul New York Times dalla voce di Rabab Fatima, responsabile dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) per il sud-est asiatico.
Un fenomeno, spiega Fatima, che crea un’urbanizzazione improvvisata e caotica, così disorganizzata che può peggiorare un’emergenza già grave di per sé. Una situazione allarmante in cui vengono a mancare l’acqua, gli alimenti e le indispensabili riserve energetiche. Per tacere delle condizioni igienico-sanitarie.
Tra queste tragiche realtà del sud-est asiatico, battute da disastri ambientali e da una povertà endemica, ancora più di Manila o di Giacarta chi detiene un triste primato, secondo il Wwf, è Dacca, capitale del Bangladesh.
Dodici milioni di abitanti, un flusso di immigrazione di circa 400.000 persone l’anno, destinazione quasi obbligata dei bengalesi colpiti da disastri meteorologici. Ma si tratta di un agglomerato urbano che non può reggere un simile impatto, così com’è collocato a qualche metro sul livello del mare e spesso investito da inondazioni o da cicloni.
Al Bangladesh dovrebbe arrivare una quota dei famosi 100 miliardi che si è stabilito di erogare al vertice di Copenhagen per i paesi più a rischio per i mutamenti climatici.
Ma questi soldi arriveranno non prima del 2020, come ricorda il quotidiano newyorkese.
La lentezza della solidarietà nazionale può essere l’arma più micidiale per i profughi climatici. I disastri ecologici non attendono i lunghi tempi della burocrazia internazionale. E la probabilità di passare dallo status di rifugiato climatico a quello di vittima climatica aumenta progressivamente ogni giorno che passa per milioni di esseri umani.