Rinnovabili

Il car sharing in Italia

Il car-sharing ha cominciato a prendere piede in Italia a partire dalla creazione di *Iniziativa Car Sharing* (ICS).
Più precisamente, ICS muove i primi passi il 23 maggio 2000 quando il Comune di Modena, nel ruolo di Ente capofila, insieme ai comuni di Bologna, Firenze, Genova, Torino e Brescia, decide di dar vita ad una Convenzione, aperta a successive adesioni, per costituire un soggetto nazionale in grado di favorire e coordinare lo sviluppo sul territorio del mercato dei servizi di car-sharing.
Precedentemente, il 26 gennaio 2000, grazie ad un protocollo d’Intesa con il Ministero dell’Ambiente si erano fissate le linee organizzative e gestionali per l’avvio del Programma nazionale di car-sharing finalizzato a migliorare la sostenibilità ambientale dei sistemi di mobilità nelle aree urbane.
In seguito, con l’Accordo di programma del 9 luglio 2003, rinnovato il 15 novembre 2005, e con l’Atto integrativo del 16 dicembre 2004 vengono definite una serie di attività con l’obbiettivo di incentivare e diffondere l’uso del car-sharing nelle città collegate in un circuito nazionale che attualmente annovera 39 realtà locali e 18.000 utenti tra privati e imprese. Dal 2002 il servizio, che offre un’opzione razionale e conveniente a chi non vuole rinunciare al mezzo individuale, è stato via via implementato in diversi centri soprattutto al Nord mentre nel Mezzogiorno soltanto a Palermo è stato messo in funzione.
L’impulso fondamentale all’instaurazione del car-sharing in Italia viene dalla crescita abnorme del numero di vetture private che dal 1970 ad oggi è passata da 1o a più di 36 milioni. L’alto tasso di motorizzazione – in base al rapporto Euromobility 2009 61,32 auto ogni 100 abitanti contro una media europea di 46 – proietta il nostro paese nelle posizioni di testa della classifica mondiale e dell’UE.
Secondo i dati APAT la circolazione di automobili ha un’incidenza significativa sull’inquinamento atmosferico, contribuendo per oltre il 46% alle emissioni di monossido di carbonio, per il 22% a quelle di ossidi di azoto e per il 10% alla formazione di PM10.
Per contro, si calcola che l’introduzione del car-sharing, limitando gli effetti perversi della mobilità privata, ha comportato una diminuzione di circa 8.900 auto circolanti nelle zone urbane, 13 ettari in meno di spazio occupato e 40 milioni di chilometri percorsi risparmiati. Ciò significa, inoltre, sotto l’aspetto ambientale, poter ogni anno evitare il rilascio di circa 9.000 tonnellate di CO2, 25 tonnellate di NOx e 4,7 tonnellate di PM10.
Il modello italiano ha affidato alle istituzioni comunali una funzione di primo piano nell’attivazione del car-sharing e come fattori idonei a garantire integrazione e complementarietà col trasporto pubblico locale.
I Comuni selezionano gli operatori, in molti casi coincidenti con i gestori del TPL, che possono avvalersi del sostegno di ICS in termini di parziale finanziamento delle spese d’investimento, previo impegno formale su un piano d’impresa condiviso, così che si venga aiutati a superare le barriere all’ingresso e il rischio industriale.
Gradualmente il ruolo dei soggetti imprenditoriali, dopo la fase iniziale, si è andato consolidando coll’acquisizione di competenze e capacità operative.
Quanto ad ICS, che ha ottenuto nel complesso uno stanziamento di 20 milioni di euro, si è adoperato con successo per assicurare una piena interoperabilità del circuito mediante l’adozione di tecnologia unitaria, standard comuni e procedure omogenee. Per gli abbonati, muniti di card personale, questo vuol dire poter godere delle prestazioni presso tutti gli operatori, dovunque senza difficoltà di accesso e complicazioni nella fruizione.

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