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Greenpeace: appello su pacchetto clima a Parlamento Ue

L'associazione chiede al parlamento Ue di non avallare con il voto la decisione presa dai Capi di stato e di Governo sul pacchetto clima.

Non va. Per Greenpeace l’accordo, con compromessi e “soluzioni-scorciatoia” preso dal Consiglio Ue, non devo essere ratificata dal voto del parlamento di Strasburgo. Ad esempio, la divisione delle emissioni, che permette ad uno stato di calcolare, ai fini della riduzione, anche gli investimenti verdi nei paesi del terzo mondo, non va. Sarebbe solamente un “interessato” sconto per i paesi membri sulle quote da realizzare in patria.
Secondo Greenpeace il 65-75% delle azioni per tagliare le emissioni verrebbero così delocalizzati fuori della Ue. Intanto va detto che non esistono meccanismi di controllo che assicurino la reale riduzione di emissione degli impianti fuori dall’UE, (la cui valenza ambientale sarebbe tutta da discutere, vedi studi dell’Oko- Institut: 40% dei progetti ora coperti dal Meccanismo per lo Sviluppo Pulito non producono tagli di emissioni). Esportare la responsabilità di inquinare in paesi terzi poi, annulla l’incentivo per le industrie Ue di investire nelle rinnovabili, non riduce la dipendenza dai carburanti fossili e la spesa energetica.
Se il compromesso, raggiunto venerdì scorso, venisse mantenuto ciò equivarrebbe ad un taglio reale nel 2020 inferiore al 3,5% rispetto alle emissioni del 2005. Greenpeace si appella al Parlamento Europeo affinché approvi la proposta del gruppo GUE/NGL a ridurre la soglia almeno al 50%, oppure a bocciare il testo, innescando la procedura della seconda lettura con il testo di nuovo al vaglio di Stati membri e Parlamento europeo. Greenpeace invita anche a contrastare l’accordo per il CCS che giudica rischiosa, troppo costosa e con una tecnologia che potrà dare risultati solo sul lungo periodo.