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Geosequestro della CO2, tra sostenitori e detrattori

(Rinnovabili.it) – Per l’Unione Europea, e non solo, è la tecnologia del futuro sul quale investire risorse e concentrare sforzi, per le ONG e verdi un palliativo costoso in grado di distogliere l’attenzione dalle azioni urgenti. Parliamo del Carbon Capture and Storage (CCS), la cui promessa di un futuro a basse emissioni sta attirando l’attenzione delle politiche energetiche mondiali. Soltanto lo scorso 7 ottobre la Commissione UE ha rivelato il tanto atteso piano per triplicare i finanziamenti comunitari destinati alla ricerca energetica per il prossimo decennio, concedendo un ruolo importante alle tecnologie di sequestro e cattura delle emissioni di anidride carbonica.
Dei 50 miliardi di euro che dovrebbero essere mobilitati, il CCS si aggiudicherebbe infatti ben 13 miliardi, da destinare ad un massimo di 12 progetti dimostrativi, secondi solo ai 16 stanziati l’industria del solare. Secondo la Commissione i fondi per la creazione dei cosiddetti ‘depositi’ di CO2 dovranno essere inizialmente esclusivamente a carico delle amministrazioni statali previa individuazione e pianificazione dei siti di stoccaggio geologici. Ma la questione rimane delicata.
Per l’europarlamentare Verde Claude Turmes (Lussemburgo) il Piano Ue è un “mero esercizio di pubbliche relazioni. E’ ridicolo mettere strategie ad alto rischio come CCS e nucleare sullo stesso piano di quelle rinnovabili. L’UE continuerà a sprecare fondi fintanto che ascolterà le lobby più forti, invece di concentrarsi sulle strategie energetiche più pulite ed efficienti”.
Critiche anche Greenpeace e WWF, convinte entrambe che ancora una volta l’esecutivo abbia ceduto alle pressioni per finanziare tecnologie obsolete come carbone e nucleare. “La Commissione riconosce il bisogno di rinnovabili e di efficienza energetica – ha affermato Frauke Thies, attivista di Greenpeace sulle politiche energetiche della Ue – ma si inchina anche alle pressioni per finanziare tecnologie superate come il carbone e il nucleare. E’ tempo per la Ue di scegliere che tipo di sistema energetico vuole nel futuro”.

E c’è anche chi fa notare come esistano già in natura sistemi di cattura del diossido di carbonio efficienti e gratuiti: Unep, Fao ed Unesco in previsione della presentazione Blue Carbon Report, hanno anticipato alcuni contenuti del documento sottolineando in primis come “gli oceani, i mari e gli ecosistemi marini di tutto il mondo, quali le alghe, le barriere coralline e le zone umide costiere assorbono tutti i giorni grandi quantità di carbonio dall’atmosfera. Sono uno dei migliori, (e trascurato) alleato naturale nelle strategie di lotta al cambiamento climatico. Purtroppo, questi sistemi di cattura e stoccaggio di carbonio sono resi inefficaci dall’attività umana che nuoce alle loro capacità di sequestro delle emissioni di gas serra”.
Il Report vuole avere come obiettivo, cifre alla mano, reindirizzare i paesi industrializzati nei confronti del “CCS naturale”, piuttosto che ancora non comprovati sistemi di stoccaggio artificiale.
La tecnologia di geosequestro dell’anidride carbonica è infatti ancora in fase sperimentale. Fra i vari progetti pilota si è appena concluso, e a detta della società realizzatrice con successo. Un anno fa, infatti la francese Alstom aveva dato inizio ai test di carbon-sequestro dai fumi dell’impianto di Pleasant Prairie, nel Wisconsis, impiegando la propria tecnologia a base di ammoniaca refrigerata. I dodici mesi di sperimentazioni hanno portato a risultati, resi noti in questi giorni, soddisfacenti sia per l’azienda francese che per la centrale statunitense: il sistema si è in fatti rivelato in grado di catturare mediamente in un anno il 90% della CO2 emessa dalla ciminiera dell’impianto ad un costo inferiore rispetto ad altre tecniche in esame fino ad oggi. Il programma di Alstom prevede inoltre di ampliare la tecnologia anche agli impianti a gas.

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