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Fuel cell come zollette di zucchero

Nel panorama di ricerca e applicazione delle pile a combustibile la tecnologia a ossidi solidi o “SOFC” (Solid Oxide Fuel Cell) è tra le più richieste meritatamente ai suoi alti rendimenti e al superamento dei problemi tipici delle celle ad elettrolita liquido, quali corrosione ed evaporazione. Come il nome stesso suggerisce le SOFC sono caratterizzate da un elettrolita solido in materiale ceramico (ossido di zirconio stabilizzato con ossido di ittrio); solitamente lavorano a temperature di esercizio molto alte (800 – 1000 °C) che eliminano da un lato la necessità di catalizzatori – e quindi dell’uso di metalli preziosi – e dall’altro le rendono particolarmente interessanti per i rendimenti elevatissimi di produzione di energia elettrica in cicli combinati (sino al 70%) e per applicazioni cogenerative industriali. Tuttavia valori così alti rappresentano anche il trade-off di questa tecnologia che si traduce in tempi d’avvio più lunghi e problemi di compatibilità meccano-chimici.
I ricercatori del National Institute of Advanced Industrial Science and Technology (AIST) stanno ora tentando di superare l’ostacolo lavorando su un prototipo di SOFC operante a 550 °C.
Il dispositivo, in mostra all’ultimo Salone Internazionale delle nanotecnologie di Tokyo, è costituito da venticinque celle tubulari in ceramica, ognuno con un diametro di 0,8 millimetri, integrati a formare una struttura cubica simile nelle dimensioni ad una zolletta di zucchero, ma in grado di generare 3 W di energia elettrica. Gli scienziati hanno sviluppato anche un metodo alternativo ricalcando la struttura del nido d’ape con una densità di più di 250 cellule/cm2. I test di laboratorio hanno confermato che il dispositivo cubico produce la più alta densità di potenza volumetrica di qualsiasi altra cella a combustibile nota e lo fa ad una corrente di 4,5 ampere e al di sotto della temperatura d’esercizio di 600 °C. Le millimetriche dimensioni del prototipo determinano una capacità termica bassa e un minor valore assoluto di dilatazione termica il che significa un ridotto shock termico ed una veloce attivazione: 5 minuti, che secondo Masanobu Awano, a capo del team di ricerca, possono essere portati a soli 60 secondi, rendendo il progetto adatto non solo ad applicazioni di cogenerazione, ma anche per l’impiego su autoveicoli come unità ausiliaria di potenza secondaria (APU). In tal senso le celle potrebbero essere montate sullo stesso motore diesel dell’auto e produrre abbastanza energia per alimentare il condizionamento dell’aria (ed altri sistemi elettrici) quando il motore non è in funzione.

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