Rinnovabili

Francescato: Il cambiamento climatico farà decollare nuovi mercati

Incontrare l’onorevole Grazia Francescato è sempre un’esperienza arricchente. Si ha subito l’impressione di parlare con una persona che appartiene visceralmente al mondo della sostenibilità e che sa trasferire, con sapiente dolcezza e in pochi minuti, decine di anni di impegno in trincea, quell’impegno vero che non tutti gli attuali – e tanti – addetti alle “ politiche ambientali “ possono vantare.

Mauro Spagnolo – *On. Grazia Francescato, Il suo impegno politico sulle grandi questioni ambientali è legato alla storia stessa dell’ambientalismo italiano. Cosa è cambiato oggi, rispetto alle prime grandi battaglie per la difesa dell’ambiente?*

*Grazia Francescato* – Cos’è cambiato? L’eresia è diventata ortodossia. Trentacinque anni fa, quando per la prima volta ho sentito la parola “sviluppo sostenibile” pronunciata dallo scienziato americano Barry Commoner, alla Conferenza Onu su Ambiente e Sviluppo a Stoccolma (giugno 1972), l’idea di mettere l’ambiente al top dell’agenda politica era patrimonio di pochissimi, che costituivano l’embrione del nascente movimento ambientalista mondiale. Il dibattito non mancava – penso a quello molto acceso sul celebre “The limits to growth” promosso dal MIT- ma era ristretto ad un’elite e non si traduceva in strategie economiche e politiche.
Oggi, dopo la pubblicazione del rapporto Stern e soprattutto dopo che il cambiamento climatico ci è esploso in faccia, negli ultimi anni, il pensiero ecologista è stato promosso da eresia ad ortodossia. Ora tutti riconoscono che occorre fare un matrimonio tra ecologia ed economia, mentre prima eravamo solo noi ambientalisti e Verdi a predicare l’urgenza di integrare la dimensione ambientale con quella sociale ed economica.
Attenzione, però: questo consenso diffuso, che ormai ha contagiato positivamente anche il mondo dei business e dei media, non significa che la formula “sviluppo sostenibile” (che tra l’altro è una contraddizione in termini, io preferisco parlare di ‘futuro sostenibile’) smetta di essere un mantra, come è stato sinora e venga davvero tradotto in strategie concrete. La grande sfida è proprio di riempirlo di contenuti attendibili e farlo in fretta, perché il tempo ci è nemico e l’accelerazione del “climate change” sta assumendo un ritmo esponenziale.

MS – *A proposito di “climate change”, Lei è d’accordo con chi dice che stiamo attraversando un’emergenza clima mai registrata nella storia del nostro pianeta?*

*GF* – Certo, ma quel che è importante è che questa emergenza è stata sancita in maniera solenne ed ufficiale dagli ultimi rapporti dell’IPCC e che finalmente l’appello è stato raccolto dalla politica mondiale: ora, almeno a parole, tutti i leader sono ambientalisti, da Al Gore (lui lo è per davvero, l’ho incontrato quando era studente in un campus negli USA e già allora militava nel movimento ecologista) a Tony Blair, da Angela Merkel a Shinzo Abe. E anche nei paesi non ancora inclusi nel protocollo di Kyoto, come i cosiddetti emergenti (Cina in testa, che sta sorpassando gli Usa in emissioni di gas serra) sta crescendo velocemente la consapevolezza che occorre cambiare rotta.
Attenzione, però: è una fase molto delicata perchè passare dalle parole ai fatti richiede una vera e propria rivoluzione industriale (e culturale) molto complessa. Rivoluzione che dovrebbe essere attuata con estrema rapidità per poter mitigare il cambiamento climatico, che corre a ritmi esponenziali, e per poter varare strategie di adattamento.
Il ritardo di decenni che abbiamo accumulato non potrà essere colmato con disinvoltura.
Il fattore “T”, il fattore Tempo, diventa dunque “chiave”. Ed è proprio quello che ci preoccupa: riusciremo in un tempo così breve – dieci, vent’anni – a varare un nuovo modello di sviluppo davvero sostenibile?

MS – *In questo quadro la Commissione Ambiente della Camera, di cui lei è membro, ha un ruolo e strumenti concreti per risolvere alcuni problemi? Se lei potesse, quali modifiche apporterebbe per rendere la Commissione uno strumento ancora più operativo?*

*GF* – La Commissione Ambiente, sia alla Camera che al Senato, può avere un ruolo-guida decisivo in questa frase di transizione. Soprattutto per promuovere la crescita della coscienza e delle competenze di tutti i parlamentari. Non a caso, abbiamo deciso di tenere un ‘Climate Day’ , che si svolgerà in due- tre sedute dal 30 luglio prossimo, con la benedizione del presidente della Camera, a cui parteciperà l’intera assemblea. Ci confronteremo su un Rapporto, stilato dalla Commsssione stessa dopo un intenso e ampio ciclo di audizioni, che illustra la situazione e le possibili strategie per la ‘mitigation’ e l’adattamento, tenendo ovviamente conto del quadro europeo e globale. Inoltre abbiamo lavorato e lavoriamo con tutti gli strumenti legislativi a disposizione, dalle risoluzioni (ne abbiamo passate molte, quasi tutte con assenso bipartisan, dal risparmio energetico negli edifici alla tutela delle risorse idriche alla promozione delle Esco, etc) alle nuove normative (penso per esempio alla legge sui piccoli comuni, che interessa ben 5835 piccoli centri che rappresentano il tessuto connettivo del nostro paese, che ha come leitmotiv proprio la centralità della questione ambientale e la tutela del patrimonio naturale, artistico, culturale della ‘piccola grande Italia’) . Stiamo lavorando alla revisione approfondita e dettagliata di una normativa vitale come la 152 (meglio nota come Delega ambientale ) che riguarda settori cruciali come rifiuti, acque, bonifiche, Valutazione di Impatto Ambientale, e vigiliamo sul lavoro delle altre commissioni (per esempio le Attività Produttive) quando si occupano di temi (vedi la liberalizzazione del mercato energetico) che hanno ricadute pesanti sull’ambiente e sul clima.
Più importante di tutto, abbiamo cercato di avere un ruolo strategico nella passata finanziaria, nella redazione del corrente DPEF ( che non a caso contiene due capitoli su ambiente e clima, con l’elenco preciso di tutti gli obiettivi di Kyoto e delle policies settore per settore) e nella ‘confezione’ della prossima Finanziaria, che vogliamo il più possibile ‘verde’. In poche parole, la Commissione Ambiente è strategica nel promuovere la centralità della questione ambientale, facendo capire a tutti, una volta per tutte, che l’ambiente non è un capitolo aggiuntivo, un optional, ma un must: il fulcro intorno a cui annodare le politiche sociali ed economiche. Insomma, il nostro obiettivo è appunto il matrimonio tra ecologia ed economia, essenziale se vogliamo garantire la sopravvivenza del pianeta e dei suoi abitanti.

MS – *Qual è il suo parere sull’ultimo G8 e sui risultati ottenuti sulle grandi tematiche ambientali?*

*GF* – Faccio parte di un network internazionale di parlamentari che riunisce i paesi del G8 e dei cinque emergenti (Cina, India, Brasile, Sudafrica, Messico) che si attiva proprio prima dei meeting dei G8 per proporre linee guida ai capi di stato sulle materie ambientali e del clima. L’ultima riunione è stata a Berlino il 3 e 4 giugno scorsi, a ridosso del vertice di Heiligendamm, firmato da tutti noi e sottoscritto anche da una larga fetta del mondo imprenditoriale più lungimirante, il quale ha ormai capito che il cambiamento climatico non è solo una spada di Damocle, ma può aprire una riconversione della produzione e dei consumi che consentirà il decollo di nuovi, interessanti mercati (ad esempio del risparmio energetico, della bioedilizia, della mobilità sostenibile, delle rinnovabili etc). Il vertice ha riconfermato, sotto la regia della Merkel, il ruolo guida che l’Europa ha assunto e intende mantenere nella costruzione di un’efficace fase-due di Kyoto, la fine della riluttanza statunitense nel riconoscimento dell’esistenza del problema e il probabile rientro degli Usa, con la nuova presidenza, all’interno dell’alveo internazionale per fronteggiare il “climate change”.
Last, ma di sicuro not least, ha visto un’adesione crescente dei paesi emergenti, ormai piagati dai problemi ambientali (vedi Cina) alla necessità di politiche di adattamento e “mitigation”, sia pure facendo salvo il proprio diritto allo sviluppo (secondo il principio della responsabilità comune ma differenziata per via delle diverse esigenze e dei diversi stadi di sviluppo economico e sociale dei vari paesi coinvolti).
Certo, non basta ancora. Al di là degli ormai mitici “3 venti” fissati dall’Europa, non ci sono purtroppo target precisi né politiche obbligatorie, ma è innegabile che gli ultimi vertici abbiano segnato passi avanti comunque notevoli. Bisogna premere perché si faccia molto, molto di più.
È proprio il ruolo che si propone questo network , denominato GLOBE, nato a ridosso del vertice di Gleaneagles, per volontà soprattutto di Blair che pare intenda proporsi, in futuro, come l’Al Gore europeo…

MS – *Quale ruolo ha lo sfruttamento delle energie da fonte rinnovabile nella situazione generale dell’emergenza clima?*

*GF* – Le fonti rinnovabili, insieme all’efficienza energetica, hanno un ruolo chiave , come indicano gli ultimi studi dell’IEA e come stabiliscono i rapporti-guida dell’UE (ricordo i più importanti: “Limitare il surriscaldamento dovuto ai cambiamenti climatici a +2 gradi celsius – La via da percorrere fino al 2020 e oltre” e il piano d’azione “ Una politica energetica per l’Europa”, sancito e rafforzato dalla risoluzione del parlamento Europeo del 14 febbraio 2007.) Per non parlare delle Direttive in vigore e in preparazione e della revisione dell’ETS (Emission Trading Scheme) entrato in vigore il 1 gennaio 2005 e disciplinato dalla Direttiva 2003/87 cui devono fare riferimento i Piani di Allocazione Nazionali. Tutti conosciamo ormai i famosi obiettivi dei “3 venti”, decisi dall’Europa, che assegnano appunto alle rinnovabili un ruolo ambizioso, da protagonista.
Voi siete esperti del settore e non starò a riportarvi i dati del boom dell’eolico o del fotovoltaico a livello globale: ma siamo ben lontani, ancora, dal traguardo prefissato (soprattutto in Italia, che è in condizioni lamentevoli da questo punto di vista, nonostante qualche tentativo di recupero negli ultimi anni).
Ci sono sostanzialmente due rischi: che si continui “business as usual”, perpetuando la dipendenza dai combustibili fossili (la Cina apre una centrale a carbone alla settimana) e rispolverando il nucleare in nome della lotta al “climate change”; che si faccia un po’ di efficienza e un po’ di rinnovabili, ma in modo scorretto (vedi il business delle biomasse, che comportano il pericolo di un ennesimo sterminio delle foreste dei paesi terzi e dei biocarburanti ecologicamente e socialmente devastanti come quelli ricavati dall’oil palm in Colombia o dal mais, oltretutto transgenico, negli Usa: su questo bisognerebbe fare una riflessione a parte).
Infine, temo le rinnovabili “all’italiana”: improvvisate, collocate in siti non idonei, in mano ad aziende non sufficientemente competenti e a sedicenti esperti che girano l’Italia offrendo mirabolanti “affari” a enti locali ed istituzioni che non sono assolutamente preparati sull’argomento…

MS – *Rispetto allo sviluppo delle rinnovabili nel nostro paese, può indicarmi un aspetto positivo ed uno negativo dei due ultimi governi di destra e sinistra?*

*GF* – Il governo del centrodestra non ha mai nemmeno preso in considerazione le potenzialità effettive delle rinnovabili e del risparmio energetico. Aveva in materia una cultura obsoleta (a parte qualche soprassalto parzialmente positivo, ad esempio sui certificati verdi). Il centrosinistra contiene in sé forze politiche (come i verdi e parte della sinistra cosiddetta radicale) che credono davvero nel ruolo delle rinnovabili e mirano a farne un ingrediente forte nelle strategie di governo (ad esempio producendo una finanziaria più verde, una fiscalità e contabilità ambientale più complessa e coerente). Ma anche qui rimangono sacche di cultura arretrata o di interessi radicati che vogliono perpetuare il ricorso al carbone (e, se potessero, un ritorno al nucleare) perché ritengono sia le rinnovabili, che l’efficienza, che l’innovazione “‘ingredienti deboli”’ nel futuro mix energetico.
La sfida è anche dentro il centrosinistra, che non è molto dissimile dal centrodestra- ahimè- in materia di politica ambientale e di uso del territorio.
Negli ultimi mesi, tuttavia, le conversioni fioccano e la spinta del mondo del business più lungimirante si fa sentire. Ma occorre lavorare molto, molto di più per una vera e propria conversione ecologica nel centrosinistra. E anche nel centrodestra, perché gradualmente – ma celermente- queste devono diventare battaglie il più possibile bipartisan.

MS – *Questa altalenante situazione politica del nostro paese, ricca di colpi di scena e di una cronica mancanza di certezze su precisi obiettivi di governo, può avere delle ripercussioni anche sulla politica di gestione del territorio e del contenimento energetico?*

*GF* – Purtroppo la politica in Italia manca di una visione del mondo, di strategie complessive e coerenti ed è ridotta sostanzialmente a tattica, alla conquista e mantenimento del potere, spesso a lotta di clan. Inoltre è tremendamente provinciale, abituata a guardare il proprio ombelico e ha difficoltà a collegarsi al quadro europeo e internazionale. Non è certo la condizione migliore per varare un’efficace lotta al “climate change” e per invertire la rotta verso quella riconversione ecologica che è urgente e non più rimandabile. Tuttavia il mio motto è “Non mi illudo, ma non mi spavento”. I politici che, pur con i limiti del caso, hanno chiara la necessità di perseguire questo cambiamento epocale, devono lavorare per costruire alleanze anche fuori dal mondo politico (con la cosiddetta società civile, con il mondo del business più attento, con le associazioni ambientaliste e i movimenti) per costringere la politica obsoleta ad essere meglio attrezzata a confrontarsi con le sfide del terzo Millennio. Un lavoraccio, ma bisogna farlo!

MS – *On Francescato, Lei per anni ha militato nel WWF Italia con incarichi di grande responsabilità. Nella situazione attuale, le associazioni ambientaliste hanno ancora un ruolo come motore propositivo alle politiche ambientali o intravede altri scenari…*

*GF* – Le associazioni ambientaliste sono più preziose che mai. Proprio perché sono state antesignane non solo nel lanciare allarmi e denunce, ma per costruire soluzioni e vie d’uscita dalla crisi ecologica globale, sono nelle condizioni di essere tra i leader del cambiamento. Spesso sono quelle che producono i dati più attendibili, le ricerche più approfondite e che propongono le soluzioni più valide. Hanno da tempo un ruolo pro-active, non si limitano certo alla denuncia, alla faccia del ruolo di cassandre e catastrofiste con cui spesso sono bollate! E poi hanno una funzione insostituibile di divulgazione, educazione e informazione: i cittadini hanno spesso molta più fiducia in WWF o Greenpeace che nei politici!
Per quanto mi riguarda, sono entrata in politica nel 1999 dopo quasi trent’anni di volontariato nelle associazioni come il WWF perchè pensavo fosse tempo di collocare le questioni ambientali in testa all’agenda politica mondiale, europea e nazionale e volevo dare un contributo in quella direzione.
Ma il mio cuore è sempre nei movimenti, nell’associazionismo: posso definirmi “ un’ambientalista che sta facendo un passaggio in politica”. Per amore di Madre Terra….

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