Dalla Penn State University la prova che si può ottenere idrogeno per fuel cell senza “carbon footprint” ed in maniera economica utilizzando acqua, diodi in titanio e l'intero spettro della luce solare
Attualmente il principale metodo di produzione dell’idrogeno è lo “steam reforming”, che consiste nella reazione, in presenza di un catalizzatore, di idrocarburi come il metano con vapore d’acqua. Nonostante sia un processo altamente commercializzato porta con se alcuni problemi. Utilizzando gas naturale non si riduce la dipendenza da combustibili fossili e, poiché uno dei sottoprodotti è l’anidride carbonica, lo steam reforming contribuisce all’impronta della CO2 nell’atmosfera. L’Idrogeno gassoso può essere ottenuto anche per via elettrolitica scindendo la molecola dell’acqua nei suoi due costituenti, ma il processo richiede energia elettrica per funzionare e dunque perderebbe la sua convenienza. Una delle soluzioni più allettanti sembra invece essere la fotolisi, nonostante si tratti di una tecnica ancora in fase di studio. Ed è in questa direzione che si sta muovendo il lavoro di Craig A. Grimes, professore di ingegneria elettrica alla Penn State University. Lo scienziato ha raggiunto un processo capace di spezzare le molecole d’acqua nei suoi due componenti, idrogeno e ossigeno, e raccogliere i prodotti separatamente utilizzando composti di titanio e rame, materiali comunemente disponibili e pertanto poco costosi. Grimes e il suo team producono l’idrogeno utilizzando due differenti gruppi di nanotubi all’interno di un diodo fotoelettrochimico e resistente alla foto-corrosione. La luce solare incidente in tali diodi genera una corrente elettrica di circa 0,25 milliampere per centimetro quadrato, con un’efficienza di conversione dello 0,3%. Una percentuale molto bassa ma che secondo il capoprogetto costituisce solo il primo passo e che può essere facilmente ottimizzata. Il diodo a giunzione p-n realizzato dalla Penn State è realizzato da nanotubi di diossido di titanio (donatore di elettroni) e di ossido rameoso in miscela con il primo composto (accettatore di elettroni). Il titanio è in grado di assorbire la porzione degli ultravioletti tra i 300 e i 400 nm, mentre la miscela rame-titanio funziona su tutto lo spettro della luce visibile. Il loro funzionamento è simile a quello delle foglie: anche se non con la stessa efficienza, infatti, essi convertono l’energia solare in elettricità che successivamente spezza le molecole d’acqua. “Questi dispositivi sono poco costosi e dal momento possiedono un’elevata fotostabilità sono in grado di durare per anni” riferisce Grimes. La ricerca sta attualmente lavorando su un processo di elettrodeposizione del nano materiale che renderà l’intero metodo di fabbricazione molto più rapido. In parole povere, un ulteriore taglio dei costi associati.