Fin dove si può arrivare utilizzando le biotecnologie? Davvero lontano se si guarda al nuovo esperimento portato a termine nei laboratori di Biotecnologie dell’Ente per le Nuove Tecnologie, l’Energia e l’Ambiente. Un gruppo di lavoro condotto dal prof. Giovanni Giuliano dell’ENEA è, infatti, riuscito ad ottenere una nuova varietà di microalga che reagisce alla presenza di sali nel mezzo di coltura illuminandosi e spegnendosi. Per ottenere ciò i ricercatori hanno trasferito nella “Chlamydomonas”, un’alga di acqua dolce, il gene della luciferasi, un enzima coinvolto in processi di bioluminescenza, lo stesso, per intenderci, che permette alle lucciole nelle notti estive, di rendere visibile l’addome. In questo caso specifico, l’enzima in questione è codificato da un gene appartenete ad un altro tipo di alga, la “Renilla”. Tale gene viene attivato da una sorta di “interruttore genetico” (detto promotore) ottenuto semplicemente con l’aggiunta di un sale comune al mezzo di coltura. Al contrario, la somministrazione di un secondo sale antagonista “spegne” l’alga. “La quantità di sali necessaria – comunica in una nota l’Ente – è bassissima, e quindi il costo è compatibile con grossi impianti di coltura”. “Queste microalghe – continua – convertono l’energia solare con un’efficienza molto più alta delle piante terrestri e sono in grado di “fissare” la CO2 proveniente dagli impianti industriali, contribuendo ad una mitigazione dell’effetto serra e producendo biocombustibili innovativi: biodiesel e idrogeno”. I ricercatori sono convinti che questa scoperta apra nuove prospettive nel campo delle energie rinnovabili, ed in particolare per la produzione di biocarburanti da microalghe coltivate su terreni di scarso valore agricolo, senza ripercussioni sul mercato dei prodotti alimentari. La ricerca è finanziata dal Ministero per l’Università e la Ricerca nell’ambito del progetto “Produzione Biologica di Idrogeno”.