Rinnovabili

Energia dal Vulcano

Utilizzare il calore della Terra per produrre energia elettrica, tramite la realizzazione di centrali geotermiche capaci di sfruttare la forza del vapore, è una pratica che conosciamo da oltre 100 anni. Fin qui nessuna novità, se non fosse che oggi la geotermia sembra aprirsi a nuovi orizzonti applicativi: non più sulla terraferma, bensì in mezzo al mare.
L’idea di costruire una centrale geotermica offshore è venuta alla Eurobuilding, una piccola impresa marchigiana già attiva nelle ricerche marine, che nel 2005 ha deciso di seguire l’intuizione del Prof. Patrizio Signanini dell’Università di Chieti, convinto che la ricchezza posseduta dai fondali dei nostri mari fosse paragonabile a quella che gli arabi hanno sotto la sabbia dei loro deserti. Il Tirreno Meridionale è una delle zone più ricche di giacimenti di fluidi geotermici al mondo e i numerosi vulcani, tra cui il Marsili, presenti al largo delle coste siciliane, calabresi e campane sono delle enormi sorgenti di calore; l’acqua marina che s’infiltra al loro interno può raggiungere temperature di 300-400 °C e pressioni superiori a 200 bar, acquistando un potenziale calorifero che può essere trasformato in energia elettrica. Signanini, infatti, durante le sue ricerche aveva notato che la temperatura dell’acqua sui fondali, a circa 3.500-3.700 metri, era di 10-12 °C, quando invece, a quelle profondità, normalmente si sarebbe dovuta attestare intorno ai 3-4 °C. Si trattava di un’intuizione che ovviamente non offriva alcuna sicurezza circa l’automatica fattibilità di un progetto, ma sulla quale la Eurobuilding ha deciso di scommettere investendo un’ingente somma di denaro, stimata complessivamente in 2 miliardi di euro.

 

Sotto la guida del geologo marino Diego Paltrinieri, la Eurobuilding ha costituito un comitato scientifico composto da autorevoli università e centri di ricerca, quali l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), l’Istituto di Geologia Marina del CNR-Ismar, il Centro di ricerche sperimentali per le geotecnologie dell’Università di Chieti e il Politecnico di Bari, e finanziato nel 2006 una campagna scientifica per definire le caratteristiche geologiche e geofisiche dell’area interessata e acquisire dati magnetici e gravimetrici in alta definizione. Dai risultati della campagna è emerso che il Marsili contiene decine di milioni di metri cubi di fluidi ad alto contenuto energetico: praticamente un vulcano di energia.

 

A questo punto, come succede alle società di idrocarburi, diventava necessario ottenere un permesso esclusivo di ricerca per avere la possibilità di capire se quella idea così tanto avveniristica fosse realmente realizzabile. Il progetto è stato quindi trasferito sui tavoli dei tecnici del Ministero dello Sviluppo Economico, che, trovandosi di fronte a un qualcosa di totalmente innovativo, hanno vagliato le carte con la lente di ingrandimento e chiesto numerose integrazioni. Dopo ben 3 anni la Eurobuilding è riuscita a ottenere il permesso esclusivo di ricerca per fluidi geotermici ad alta temperatura per tutta l’area attigua al Marsili che, a valle di un via libera della Direzione Generale per la Valutazione di Impatto Ambientale da parte del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, si concluderà con una perforazione pilota.

 

A che punto siamo quindi?
Il percorso è attualmente diviso in due fasi. Una prima parte, chiamata esplorativa, servirà a capire tra la primavera e l’autunno di quest’anno dove si trovino esattamente i punti più proficui per effettuare la prima perforazione e quindi costruire il cosiddetto pozzo esplorativo (pozzo pilota) per l’estrazione di fluidi ad alta entalpia. “Il pozzo pilota – precisa Paltrinieri – è molto più piccolo di quello produttivo e serve per captare i fluidi, recuperarli, studiarli in maniera precisa e dettagliata, sapere quindi a che temperatura sono e che composizione salina hanno, per poi procedere a un’adeguata progettazione delle piattaforme produttive che, nella nostra ipotesi, dovranno essere 4”. Successivamente, tra il 2012 e il 2013, la Eurobuilding procederà alla perforazione vera e propria attraverso una drilling ship, ovvero una nave attrezzata per questo genere di operazioni. La piattaforma sarà stanziata in corrispondenza di un battente d’acqua di 700 metri e il pozzo avrà una lunghezza di circa 2.000 metri: cifre tutto sommato contenute se si considera che oggi le piattaforme offshore operano nell’oceano anche con 2.000 metri di battente d’acqua, per poi sfiorare i 4.000 metri in seguito alla perforazione.

 

Ma quali sono i rischi legati a un progetto così avveniristico e con nessun case history alle spalle?
Ci rassicura Paltrinieri “Siamo i primi a voler evitare operazioni pericolose ed è per questo che conduciamo campagne di monitoraggio costanti”. Da un punto di vista tecnico, le problematiche logistiche che avevano le centrali offshore di venti anni fa sono sicuramente superate: i ricercatori oggi dispongono di tecnologie affidabili anche in condizioni piuttosto estreme, come le alte temperature.

 

Nessun rischio anche per l’ambiente, dato che l’operazione si svolgerebbe all’interno di un sistema cosiddetto aperto: durante le campagne esplorative, infatti, sono stati individuati dei geyser sottomarini che testimoniano la presenza di acqua calda in pressione, proprio quello che un domani la centrale andrà a captare, ovvero già circolante nell’ambiente marino; viceversa, in un sistema chiuso rispetto al mare, come nel caso degli idrocarburi, l’eventualità di una fuoriuscita provocherebbe un disastro ambientale. Inoltre, l’area di mare oggetto del Permesso di Ricerca oltre a non essere una zona soggetta a vincoli di tutela biologica, naturalistica e archeologica, non esercita alcuna influenza sul regime dei litorali, né sulla fruizione turistica delle aree costiere, dato che si trova a circa 150 km dalla terraferma. Si prevede che la costruzione della prima piattaforma produttiva possa essere ultimata a partire dal 2014 per poi, ogni due anni, costruirne un’altra fino ad arrivare alle quattro ipotizzate. I dati a disposizione consentono di stimare una capacità produttiva intorno agli 800 MW – 1 GW, praticamente pari a quella di una centrale nucleare di media taglia; la produzione prevista sarà di circa 1,3 TWh all’anno, tale da raddoppiare l’attuale potenza elettrica nazionale proveniente da fonte geotermica. Il progetto potrebbe essere replicabile sia in altre zone del Tirreno Meridionale, ricco di sistemi geotermici simili al vulcano Marsili (anche se di dimensioni inferiori), sia sfruttando le lunghe dorsali vulcaniche presenti al centro degli oceani. Si tratterà di capire se ci sarà qualcuno intenzionato a seguire un’idea, se si vuole, un po’ bizzarra e investire in questo genere di ricerche oggi molto innovative.

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