Anche il letame che arriva dall’allevamento di suini è una fonte da non sottovalutare visto che viene utilizzato negli impianti di biogas, che producono energia per la rete elettrica nazionale, per il teleriscaldamento o viene riutilizzato nelle stesse aziende agricole. E alla fine i resti della trasformazione costituiscono una materia “sottoprodotto” che può comunque essere impiegato come compost per concimare grazie all’azoto che ancora contiene. Un esempio dell’ultizzo di tali fonti si ha in Veneto, dove sono già attivi venti impianti a biogas (8 nel veronese e nel padovano, 6 nel vicentino, 3 nel trevigiano, 2 nella provincia di Venezia, 1 in quella di Rovigo) e dai dati relativi alla qualità e quantità di biomassa prodotta: un totale di 23 milioni di tonnellate all’anno di biomassa, di cui 6,5 milioni solo di liquame, che danno quasi 45 milioni di metri cubi di biogas e una potenzialità degli impianti che oltrepassa i 15,5 MW.
”C’è purtroppo una certa confusione quando si parla di impianti biogas – spiega Giustino Mezzalira, direttore del settore Ricerca e Sperimentazione di Veneto Agricoltura – in quanto si tende a ricomprendere nel termine ”biomassa” anche prodotti agricoli dalla destinazione più pregiata. Qui invece si vuole sfruttare fino in fondo una risorsa di scarto da riutilizzare per creare nuova energia. Veneto Agricoltura – argomenta Mezzalira – ha attivato una specifica azione strategica sulle bioenergie, istituendo un nuovo settore all’interno della propria struttura proprio per dare delle risposte al territorio e agli operatori del settore. Sono necessari investimenti e leggi che consentano una semplificazione burocratica finalizzata a incrementare questo approccio alternativo all’approvvigionamento energetico, anche per le piccole aziende agricole”.