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Emissioni planetarie: le promesse dei G8 e le chimere nucleari

Gli otto potenti della Terra, il cosiddetto G8, si sono riuniti in Giappone e hanno fatto previsioni e promesse, di carattere ecologico e merceologico. Hanno detto che sarebbe intenzione loro (o almeno di alcuni di loro) di far diminuire, nel 2050, del 50 % le emissioni planetarie dei gas serra responsabili dei mutamenti climatici. Vediamo, col regolo calcolatore (l’utile strumento usato per decenni dagli ingegneri prima dei computer), che cosa questo significa.
Limitiamoci a considerare il principale dei gas serra, l’anidride carbonica. Accettate i dati con beneficio di inventario (per questo è utile il regolo calcolatore che fornisce soltanto poche cifre significative arrotondate), tranquilli perché tanto nessuno sa esattamente quanta CO2 viene immessa nell’atmosfera in ciascun anno e gli stessi dati dei “consumi” energetici globali sono larghe stime.

Immaginiamo che siano veri i dati del “rapporto IPCC”:https://www.ipcc.ch/pdf/assessment-report/ar4/wg3/ar4-wg3-chapter4.pdf di qualche mese fa e che le emissioni di CO2 nel 2008 siano di circa 26 miliardi di tonnellate all’anno, in corrispondenza ad un consumo (ad un uso) di circa 10 miliardi di tonnellate/anno di combustibili fossili (carbone, petrolio, gas naturale) da parte di una popolazione di circa 6.700 milioni di persone. Considerando più o meno 2,6 t di CO2 per t di combustibili fossili (grossa approssimazione perché i vari combustibili fossili hanno diverso potere calorifico e “contenuto” di carbonio), i corrispondenti valori per persona all’anno, risultano circa 4 t di CO2 e circa 1,5 t di combustibili fossili.

Da oggi al 2050 ci sono 42 anni e ragionevoli previsioni indicano, per quell’anno, una popolazione mondiale di circa 9.000 milioni di persone. Immaginiamo che davvero i governanti della Terra si propongano di far diminuire nel 2050 le emissioni di CO2 nell’atmosfera dagli attuali 26 a 13 miliardi di t/anno (1).

Si risolve il problema dei mutamenti climatici dovuti all’effetto serra, appunto alla presenza nell’atmosfera di anidride carbonica e di alcuni altri gas ? Niente affatto: al più la situazione peggiora di meno.

Nei 42 anni che ci separano dal 2050 verrebbero immessi nell’atmosfera, circa 800 miliardi di t di CO2 (2)(3) con un aumento, nel 2050, della quantità della CO2 nell’atmosfera (4) e della relativa concentrazione dagli attuali 385 (1) a circa 450 ppmv (5), con sicuro aumento delle alterazioni climatiche, del riscaldamento medio della Terra e di tutti i guai conseguenti. Comunque sarebbe meglio così che continuare con le attuali emissioni o con emissioni di CO2 ancora maggiori.

Associando in prima approssimazione le emissioni atmosferiche di CO2 alla combustione dei combustibili fossili, il quadro previsto per il 2050 indicherebbe che i consumi di combustibili fossili dovrebbero diminuire dagli attuali circa 10 miliardi di tonnellate/anno a circa 5 miliardi di t/anno, corrispondenti a circa 0,55 t/anno per persona.

Tornerò fra un momento a questo numero, ma prima voglio dire che, secondo questa ipotesi, la quantità complessiva dei combustibili fossili usati in 42 anni dovrebbe aggirarsi intorno a circa 300 miliardi di tonnellate (6). Un po’ tanto: nel 2050 resterebbe ancora un po’ di petrolio e di gas naturale nei pozzi o negli scisti bituminosi, resterebbe ancora un bel po’ di carbone nelle miniere. Non voglio esprimere nessuna considerazione su quanto verrebbero a costare, allora questi combustibili, perché con centinaia di pozzi di idrocarburi a secco, i dollari o gli euro contano poco. Non voglio esprimere nessun pensiero su quello che succederebbe dopo il 2050 perché, come diceva Keynes, allora io e credo la metà dei lettori saremo morti.

Torniamo ora al significato della diminuzione dell’uso di combustibili fossili dagli attuali 1,5 t/anno per persona a poco più di mezza tonnellata/anno per persona, sempre come media. Un po’ dei combustibili fossili totali saranno usati dai paesi arretrati e emergenti, che stanno bruciando carbone, petrolio e gas a più non posso; gli abitanti dei paesi industrializzati, quelli che oggi succhiano petrolio e gas in maggiore quantità, faranno sempre più fatica a trovare distributori di benzina aperti e gasolio per riscaldamento e idrocarburi per la plastica, le centrali elettriche, le fabbriche di acciaio, di pomodori in scatola, di vestiti, di concimi, eccetera.

Tranquilli: ci penserà l’energia nucleare, anche se questa produce principalmente elettricità. Nel mondo l’elettricità assorbe, oggi come oggi (2008), circa 3 miliardi di t/anno di combustibili fossili per produrre circa 13.000 TWh/anno di energia elettrica (altre circa 5.500 TWh sono di origine idroelettrica e nucleare). Tutta questa elettricità potrebbe essere prodotta da ipotetiche future centrali nucleari: considerando che quelle di terza generazione sono previste con una potenza di 1600 megawatt e quindi potrebbero produrre circa 12 TWh/anno di elettricità, per produrre l’elettricità oggi ottenuta dai combustibili fossili ne bastano mille in funzione nel 2050 (di mille centrali nucleari sembra aver parlato il presidente del consiglio italiano).

In questo modo, se non ci fossero altri aumenti di richiesta di energia, la richiesta di combustibili fossili diminuirebbe dagli attuali 10 a circa 7 miliardi di t/anno e le emissioni di anidride carbonica diminuirebbero dalle attuali 26 a circa 19 miliardi di t/anno, ancora lontani dalle promesse degli otto grandi. Con duemila centrali nucleari nel 2050 le cose andrebbero già meglio!

Le mille centrali nucleari non emetterebbero anidride carbonica e potrebbero fornire elettricità anche per sostituire una parte dei combustibili fossili in usi non elettrici; niente vieta di pensare ad automobili e treni alimentati con elettricità di origine nucleare, a fabbriche di concimi, acciaio e macchinari, a dissalatori dell’acqua marina alimentati dall’energia nucleare. Nel 1968 l’Oak Ridge National Laboratory degli Stati Uniti pubblicò un interessante studio (“Nuclear energy centers. Industrial and agroindustrial complexes”, ORNL-4290), che proponeva grandi centri agroindustriali con città, campi, fabbriche, impianti di dissalazione e trasporti alimentati da alcune migliaia di megawatt di centrali nucleari – ma si trattava del 1968 e tanti sogni sono da allora svaniti e relegati nelle biblioteche.

L’unico inconveniente – a parte considerazioni di costi monetari e di costi ambientali, di sicurezza e di responsabilità per la sistemazione delle scorie future – è che nessuna impresa o governo minimamente ragionevole, neanche con pianificazioni di tipo leninista e repressione con la forza delle proteste popolari, può pensare che fra quarantadue anni possano essere in funzione nel mondo mille centrali nucleari.

Ci sono altre proposte per sostituire i combustibili fossili gradualmente “eliminati” dal mercato nel corso di 42 anni? Certo, ci sono le forze del Sole, del vento, del moto ondoso, le forze geotermiche, un aumento dei prodotti vegetali rinnovabili da trasformare in carburanti, plastica, combustibili per fabbriche e città e molte altre soluzioni tecniche basate su risorse energetiche rinnovabili, continuamente rigenerate dai cicli della natura. Chi segue questa testata sa che siamo in tanti a pensare che ciò sia possibile, con automobili elettriche alimentate e ricaricate con celle fotovoltaiche, con impianti di riscaldamento e condizionamento dell’aria solari, con la produzione di elettricità dal vento, con la trasformazione dei prodotti della biomassa, a tanto altro.

E poi ci sono le proposte di maggiore efficienza energetica – qualunque cosa questa frase significhi – di sepoltura dell’anidride carbonica nelle viscere della Terra e altre ancora. Ma ciascuna di queste svolte verso minori effetti ambientali negativi, presenti e futuri – come del resto sarebbe anche nel caso di una improbabile e improponibile società nucleare – comporta profonde modificazioni tecnico-scientifiche, la ristrutturazione della produzione e delle merci, una nuova urbanistica, nuovi mezzi e modi di trasporto, una pianificazione centrale e coordinata non solo nell’ambito dei singoli paesi ma a livello globale, imposizione di vincoli alle decisioni dei singoli stati e delle singole persone, prevedibili reazioni egoistiche e violente di gruppi e paesi e centri di potere. Più presto ci si pensa, minori saranno i costi, i dolori, i conflitti nei prossimi decenni.

“Impossibile? No. Per quanto la scienza e la tecnica abbiano ampiamente dirottato dal loro più esatto itinerario, esse ci hanno insegnato almeno una lezione: niente è impossibile”, scriveva nel 1934 Lewis Mumford in “Technics and civilization” (traduzione italiana col titolo “Tecnica e cultura”, Il Saggiatore, Milano, 1961, 1968, 2004), enunciando il suo “manifesto” per una società neotecnica.
Ne raccomando la lettura ai partecipanti al prossimo G8.

_Note_

(1) L’atmosfera, come è noto, contiene 5.000.000 di miliardi di tonnellate di gas (corrispondenti a 3.900×1015 metri cubi); l’atmosfera contiene oggi circa 3.000 miliardi di t di anidride carbonica, corrispondenti a circa 1,5×1015 metri cubi, tanto che si dice che la concentrazione della CO2 nell’atmosfera è circa (1,5×1015 diviso 3.900×1015) 385 ppmv (parti per milione in volume). Dei circa 26 miliardi di tonnellate (13 x1012 m3) di CO2 all’anno immessi adesso nell’atmosfera circa la metà resta nell’atmosfera e il resto viene trascinato negli oceani dalle piogge e col contatto aria/mare. Si può quindi dire che ogni anno si aggiungono all’atmosfera circa 7×1012 m3 di CO2, corrispondenti ad un aumento della sua concentrazione di circa (7×1012 diviso 3.900×1015 m3) 1,8-2 ppmv.

(2) 20 (media fra 26 e13) miliardi di t/anno moltiplicato per 42 anni.

(3) Pari a circa 400 x 1012 m3 di cui resterebbero nell’atmosfera circa 200 x 1012 m3.

(4) Circa da 1,5 a 1,7×1015 m3.

(5) 1,7×1015 m3 diviso 3.900×1015 m3.

(6) 7,5 (media fra 10 e 5) miliardi di t/anno moltiplicato per 42 anni.

h4{color:#FFFFFF;}. Giorgio Nebbia