Staticità addio, l’ultima frontiera del costruire vuole gli edifici capaci di interagire dinamicamente con l’ambiente circostante con l’obiettivo di ridurre i consumi energetici e gestire lo spazio con maggiore efficienza
“Adattamento, azione e risultato dell’adattare o dell’adattarsi, capacità di adeguarsi a una determinata situazione”. Le parole che spuntano fuori consultando il dizionario ben poco spiegano riguardo una delle migliori qualità possedute dalle forme di vita sulla terra, fattore essenziale per la sopravvivenza e il successo delle singole specie nel lungo processo evoluzionistico. Con l’incombere di un progressivo depauperamento delle fonti energetiche fossili e dei danni provocati dagli stravolgimenti climatici sta divenendo più che mai fondamentale che l’uomo ricorra ancora una volta a questa capacità. In realtà la sfida dettata dall’ambiente esterno si riflette anche su un settore i cui prodotti sono tradizionalmente concepiti come oggetti statici e rigidi: l’edilizia. Parlare di adattamento per un comparto che a livello mondiale, da solo, si rende responsabile di una buona parte del consumo di energia e delle emissioni climalteranti, significa aprire la strada a cambiamenti nel modo stesso di progettare, per ottenere sistemi che non solo siano caratterizzati da bassi consumi energetici e ecosostenibilità ma che perseguano questi obiettivi interagendo con l’ambiente stesso in maniera dinamica e continuativa. L’idea di ottimizzare la progettazione di un edificio in relazione alla sua posizione e all’ecosistema in cui si trova è ormai un requisito fatto proprio dalla maggior parte di architetti e ingegneri, come peraltro ben dimostra il proliferare di case ‘low-energy’ o di architetture passive. L’ulteriore passo da compiere è quello di riuscire a consolidare nel processo creativo un concetto semplice: pensare l’edificio come un sistema adattabile alle mutevoli condizioni esterne ed interne, per utilizzare meno energia, offrire maggiore comfort e gestire lo spazio con migliore efficienza.
In una visione più ampia i sistemi adattativi uniscono la parte migliore delle strategie progettuali oggi esistenti, il basso consumo energetico e il controllo degli ambienti edilizi, consentendo di ottimizzare la loro configurazione in tempo reale. Si trovano già in utilizzo dispositivi di areazione dinamici – spesso impiegati in combinazione con facciate a doppi vetri – istallati per dirigere i flussi d’aria e sfruttare il trasferimento del calore convettivo per il riscaldamento e il raffreddamento, anche se quando si parla di sistemi basati sulle prestazioni ci si riferisce perlopiù a quelli utilizzati per il controllo dell’illuminazione. Applicati all’interno o all’esterno di edifici, frangisole, tende e persiane foto-sensibili possono intelligentemente controllare i livelli di luce con il duplice vantaggio di assorbire o respingere l’energia radiante ed impiegare la luce naturale per modulare la necessità di illuminazione dei locali interni.
In tale contesto si inserisce _l’Adaptative Fritting_ ideato da Chuck Hoberman; un vetro sinterizzato che imita i meccanismi di redistribuzione delle vescicole di colorante che le cellule viventi utilizzano per controllare la propria pigmentazione. Mentre i vetri porosi convenzionali si basano su uno schema fisso, l’Adaptive Fritting è in grado di controllare la sua trasparenza e modulare quantità di luce trasmessa spostando una serie di strati di cristallo sinterizzato in modo che il pattern grafico, alternativamente, si allinei e diverga. Il sistema è stato concepito per offrire un’opportunità di design flessibile e una perfetta integrazione architettonica e, in attesa di ottenere il brevetto, si è guadagnato il Wyss Prize for Bioinspired Adaptive Architecture.
*Tra precursori storici e cacciatori di futuro* Tra i primi ‘esploratori’ della dimensione adattativa nell’edilizia forse non sorprenderà trovare proprio il celebre architetto e designer *Richard Buckminster Fuller.*
Alla fine degli anni ’80 sono invece i “moucharabiehs” (uno dei temi storici della geometria araba) realizzati dal francese *Jean Nouvel* per l’IMA, l’Institute du Monde Arabe di Parigi, ad aggiungere un altro tassello a questa innovativa linea progettuale. L’edificio, oggi vera e propria rappresentazione di nuovo spazio di contatto fra culture differenti, recupera l’utilizzo di luce e ombra come elementi architettonici facendo perdere i contorni tra la definizione di materiale componente e superficie ‘interattiva’. Nella parete sud dell’IMA al centro delle finestre, 240 diaframmi metallici si aprivano e si chiudevano secondo la luminosità esterna per modulare i livelli di luce e trasparenza. Una sorta di parete cinetica comandata da cellule fotoelettriche in grado coniugare prestazioni edilizie a un ricercato senso estetico, che rimane suggestivo nonostante il sistema non sia più in funzione.