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Ecologia e media: vero connubio?

Sono mesi che i media non fanno che parlare della crisi economica che coinvolge l’intero pianeta, quello che dimenticano di dirci è che ad attraversare un periodo di crisi è proprio il settore dei media. Da qualche tempo, le tv generaliste sono colpite da un grande crollo di ascolti della maggior parte dei programmi presenti nei palinsesti. Insomma, i telespettatori sono annoiati e non sanno più a che santo votarsi. L’unico “genere” televisivo che non risente di tale crollo di ascolti, è quello dei reality-show, che sono tra i pochi programmi ad attrarre il pubblico. E lo attraggono in massa. Tralasciando l’aspetto sociale, già ampiamente trattato in altre circostanze che non ci competono, cerchiamo di puntare l’attenzione su cosa questi programmi televisivi rappresentino per l’ambiente. O meglio: qual è la loro impronta ecologica? La realizzazione di mega produzioni dai costi proibitivi, vede come quinta scenica, nella maggior parte dei casi, località impervie e incontaminate, che bene si prestano a rendere difficile la vita di eventuali naufraghi e infiltrati. Peccato che poco si pensi all’impatto ambientale che tutto ciò ha su luoghi che con la civiltà occidentale hanno quasi nulla a che vedere e che quindi risentono moltissimo della presenza “estranea” del mondo televisivo. Sono ormai anni che si polemizza in tal senso, facendo riferimento a reality più o meno noti, al punto che alcuni tra questi hanno dovuto migrare di anno in anno in località differenti, viste le lamentele degli indigeni. Del resto è abbastanza difficile credere che durante un reality dalla durata di almeno un mese, ci sia chi si prenda cura dell’ambiente. Viene naturale pensare alla produzione di rifiuti di vario genere, per arrivare alla destabilizzazione che un’invasione di massa crea all’interno di un delicato, seppur circoscritto, eco-sistema. E quello che fa maggiormente pensare è che, vista la quantità di pubblico, nessuna delle maggiori produzioni abbia pensato a come utilizzare tale mezzo a fini “educativi”. La sensibilizzazione del grande pubblico alle tematiche ambientali è un imperativo al quale non ci si può sottrarre, e che deve essere accolto anche dalla televisione che è ormai da anni un vero e proprio componente delle nostre famiglie.

Quest’anno tra le controversie più accese c’è stata quella innescata dalla scelta dell’arcipelago di Cayo Cochinos, in Honduras, come palcoscenico naturale della sesta edizione del reality “L’isola dei famosi”. In questo paradiso terrestre molte specie rare di uccelli sostano durante le loro migrazioni, e molti di questi uccelli hanno bisogno di posti isolati per fermarsi evitando di perdere l’orientamento, quindi è fondamentale non alterare questo sistema per consentire a questi animali di perpetrare le proprie abitudini. Tra le altre specie che hanno risentito della presenza indesiderata della troupe televisiva vi è anche la tartaruga Careya, che si riproduce proprio nel periodo in cui si è svolto il reality. Ma tra i danni maggiori, il responsabile del Ministero dell’Ambiente dell’Honduras, Adami Cubas, ha riportato quelli subiti dai preziosi e rari coralli che si trovano nelle acque dell’arcipelago, che sono stati rovinati dai cavi sottomarini tirati dalla produzione. “È vero, sono stati fatti dei danni. L’impatto dei famosi sulla natura, e di tutto ciò che gira loro intorno, è stato forte. – Ha dichiarato Adami Cubas – Ne hanno risentito la vegetazione, i coralli, la fauna marina”. Tra le altre violazioni che hanno influito non poco sull’ambiente c’è il traffico di barche a motore che hanno puntualmente violato il limite di velocità di 4 nodi, provocando rumore e inquinamento. E pensare che fino a qualche anno fa, la Fondazione “Coral Reef Found” che si occupa della tutela ambientale di questo Monumento Naturale aveva posto il divieto assoluto di sbarco.
Se ci fermassimo qui, avremmo dimostrato che la televisione poco fa, attraverso questo genere di programmi, al fine della diffusione del rispetto per l’ambiente. In realtà, abbiamo prove certe che dei tentativi di diffusione di cultura ecologica sono stati fatti. Purtroppo non hanno avuto la stessa pubblicità, e sono stati notati solo da quel pubblico che di farsi una cultura in tema di ambiente probabilmente non ne ha bisogno. E allora proprio per questo ne facciamo menzione, per dare loro risalto e per premiare coloro che hanno avuto quest’idea. Partiamo con un’iniziativa tutta italiana che ha visto come protagonisti cinque ragazzi chiusi in una casa a impatto zero: la Leaf House, di Angeli di Rosora (AN). Questa casa fa parte del progetto Leaf Community, un’area a impatto zero realizzata dal Gruppo Loccioni, totalmente eco-sostenibile e autonoma fin nella produzione dell’energia elettrica, affidata a una mini-centrale idroelettrica e a fonti alternative. Il reality è durato 5 giorni ed ha ospitato numerosi personaggi famosi. Ideatore e sponsor del reality è CISCO, che da sempre si occupa di dare spazio ad internet e di divulgare gli effetti positivi di questo strumento, sia nel lavoro che nei rapporti sociali. All’interno del reality infatti i protagonisti hanno raccontato come utilizzare strumenti come Flickr, Twitter, Facebook. La differenza sostanziale rispetto ai più noti reality TV, è che questa casa è stata live su internet consentendo a chiunque di interagire con gli abitanti attraverso la chat.

Forse un po’ più “forte” il secondo esempio positivo che vogliamo citare. Un format tutto inglese, realizzato da Channel 4, che ha proposto la sopravvivenza di dieci concorrenti in una discarica. Sì, potrà sembrare una follia ma stiamo proprio parlando di una vera discarica di rifiuti. I concorrenti hanno dovuto provvedere al proprio sostentamento attingendo dai cumuli di rifiuti, cibo e vestiario. Tre settimane di sopravvivenza infernali, al termine delle quali il vincitore sarà la prova tangibile che molto del materiale che viene gettato via per consumismo o per disattenzione, sarebbe in realtà sufficiente a permettere la sopravvivenza di molte persone. Uno schiaffo al mal costume diffuso di buttare indiscriminatamente cibo e oggetti ancora sfruttabili, ed una dimostrazione palpabile di quanta poca sensibilità ci sia riguardo all’ambiente.

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