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Ecco la ‘bacchetta magica’ del fotovoltaico. E tutta italiana

(Rinnovabili.it) – LEPECVD è l’acronimo complesso, e forse poco conosciuto, del reattore _Low Energy Plasma Enhanced Chemical Vapour Deposisition_ , macchinario ipertecnologico che potrebbe dare il via ad una vera e propria rivoluzione all’interno del fotovoltaico. Fulcro dell’innovativa tecnica messa a punto dalla padovana Dichroic Cell, il reattore lavora come una sorta di forno consentendo di ‘trasformare’ un semiconduttore in un altro e di conseguenza ottimizzando le sempre più rare e preziose materie prime impiegate nella tecnologia solare.
Nel dettaglio i ricercatori della Dichroic Cell, in collaborazione con l’Università degli Studi di Ferrara e CNR–INFM, sono stati in grado di creare un substrato virtuale depositando il germanio, elemento raro e costoso, sul più facilmente reperibile silicio.
“In base alle previsioni formulate, – si legge in una nota stampa – attraverso questa sofisticatissima tecnologia è possibile abbattere il costo del substrato delle celle fotovoltaiche di oltre il 60%. Una riduzione dei costi che diventa del 30% quando si prendono in esame le celle fotovoltaiche più costose, con substrato in puro Germanio”. In altre parole maggiore efficienza, risparmiando sui materiali.
Dietro il lavoro svolto, una grande intuizione: quella di trasferire dall’ambito aerospaziale a quello terrestre una metodologia altamente sofisticata e dai costi proibitivi, riuscendo a renderla applicabile ad un’economia per uso terrestre su scala industriale. Per il Prof. Giuliano Martinelli dell’Università di Ferrara, Direttore del Dipartimento di Fisica e coordinatore scientifico del gruppo di ricercatori, l’investimento fatto da Dichroic Cell in questa innovativa ricerca è stato “davvero lungimirante”. “Ora – continua Martinelli – mi auguro che gli Enti di riferimento mostrino, non solo nelle proclamate intenzioni, ma anche nei fatti, la stessa lungimiranza. In primis, promuovendo l’accesso al ‘Conto energia’ anche per i sistemi a concentrazione, ritenuti particolarmente idonei per la produzione di energia su larga scala. Questo potrebbe cancellare o limitare le perplessità di istituti finanziari e altri potenziali investitori, per ora restii a riversare le proprie risorse in una tecnologia che, non avendo accesso all’incentivo, di fatto soffre di carenza di mercato. Solo così i risultati della ricerca potranno rapidamente trasferirsi in una realtà industriale in grado di apportare un importante contributo al nostro fabbisogno energetico, fornendo un prodotto di alto valore commerciale per la nostra esportazione, in particolare nel bacino del mediterraneo”.
Soddisfatto anche il Presidente del CNR, Prof. Luciano Maiani, per il quale la scoperta di una tale tecnica rappresenta non solo un successo per i ricercatori del CNR-INFM, ma un traguardo ambizioso e strategico per tutto il Paese. “In più, – conclude – la sinergia tra impresa, Università ed Ente pubblico rimarca ancora una volta l’importanza strategica del dialogo tra pubblico e privato, per il benessere e la ricchezza dell’Italia. Oltre che per il progresso e il futuro della ricerca”.

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