Contrasti, polemiche, accuse e critiche: oggetto l'Ipcc per vari motivi. Un'agenzia che perde parte della sua autorevolezza, ora rischia di suscitare dubbi sui suoi rapporti e un certo disorientamento anche dell'opinione pubblica
Assedio a Fort Ipcc. Ma i buoni sono dentro o fuori? Nei western doc, i buoni erano gran parte delle volte dentro. In questo caso quelli che attaccano da fuori sono le truppe dei “negazionisti”, mentre dentro si difendono i cosiddetti “catastrofisti ambientali”, ossia gli uomini dell’Ipcc al comando del “generale” Pachauri.
Gli assedianti sono quindi quelli che negano che le attività umane e le loro emissioni siano la causa del riscaldamento del clima globale. Gli assediati invece sostengono che il riscaldamento globale sia colpa delle attività antropiche e, se superasse i due gradi di incremento, porterebbe a dei cambiamenti climatici, probabilmente senza nessuna possibilità di tornare indietro.
I negazionisti ovviamente negano. Negano tutto. Sostengono che se il riscaldamento è aumentato (e non ne sono affatto convinti), le motivazioni sono di tipo naturale, vanno ricercate nei corsi e ricorsi dell’andamento delle temperature nelle ere terrestri (portano l’esempio del caldo nel medio-evo) e che le cause siano identificabili in vari fenomeni, come tra gli altri, le macchie solari.
L’attuale attacco dei negazionisti è stato sferrato in occasione da una serie di “inciampi” in cui quelli dell’Ipcc sono ultimamente incorsi e di cui i primi hanno immediatamente approfittato.
Ecco i tre i lati che l’Ipcc ha lasciato scoperti ai colpi avversari:
1) Il cosiddetto “mailgate”, quando a dicembre nell’Università East Anglia sono state scoperte delle e-mail che mostravano come alcuni ricercatori avessero ritoccato dei dati, aggravandoli, per avallare ancor di più la tesi del global warming.
2) L’ammissione da parte dell’Ippc di aver sbagliato la previsione sullo scioglimento dei ghiacciai dell’Himalaya, collocandolo entro il 2035, perché basato su un articolo del 1999, per di più non affidabile scientificamente.
3) Infine la polemica sul professor Rajendra Pachauri, presidente dell’IPCC, accusato dal “Sunday Telegraph” di aver tratto vantaggi personali delle sue relazioni con aziende che operano nel settore del cambiamento climatico.
Tutto questo ha portato i media a parlare di un calo dell’autorevolezza dell’Ipcc che, ricordiamolo, è un’agenzia dell’Onu e non fa ricerca, ma raccoglie dati di altri centri di ricerca. Intanto articoli ed editoriali hanno gettato una vena di dubbio e un’ombra sulla validità scientifica dei suoi rapporti.
Ma come sono andate precisamente le cose? E quale ruolo concretamente l’Ipcc ha svolto soprattutto nella faccenda più grave, quella del “mailgate”, dove ne sappiamo anche di più grazie al certosino lavoro di controllo il cui merito va tutto all’agenzia d’informazione statunitense Associated Press.
All’A.P. hanno analizzato singolarmente ognuna delle oltre mille mail incriminate. E’ risultato che i ricercatori dell’East Anglia hanno fatto fronte comune contro gli scettici, decidendo a tale proposito se e come occultare alcune rilevazioni.
Però non è stata trovata traccia che le informazioni acquisite a tutt’oggi sul global warming siano false. Semmai dall’analisi si è capito che gli scienziati erano inclini a tenere per sé i dubbi, e tendevano ad ostentare all’esterno sicurezza nelle loro conclusioni.
Tra questi il professor Phil Jones, direttore della Climatic Research Unit dell’università dell’East Anglia, che è stato sospeso provvisoriamente dal suo ruolo e che in un’intervista al Time ha dichiarato che ha addirittura pensato più volte a suicidarsi e che lo ha trattenuto solo il supporto della propria famiglia e l’amore per la sua figlia. E poi ha confidato di essere distrutto, non essendo abituato alla esposizione mediatica e di aver somatizzato tutto questo stress, dimagrendo, non dormendo la notte e preoccupandosi anche per le minacce di morte che gli sono arrivate dappertutto.
Tutto questo ha creato non solo problemi alla credibilità dell’Ipcc, ma avrà le sue ripercussioni anche sui prossimi summit mondiali sul clima, dove, scommettiamo, recalcitranti Paesi, già restii a trovare accordi condivisi e vincolanti, avranno altri pretesti per sottrarsi ad impegni e intese.
Anche sull’opinione pubblica infatti ci sono delle ripercussioni, ad esempio in Gran Bretagna, patria dello scandalo, fino a Natale c’era una consistente maggioranza di consumatori che riteneva di dover contribuire al raffreddamento del pianeta, oltre l’80%, ora almeno il 25% ha decisamente modificato la propria opinione.