Non è tanto il problema di possibili incidenti, che sono in questo caso più gravi che in qualsiasi altro impianto, a far diffidare del nucleare, né la sua contiguità oggettiva con gli usi militari. Piuttosto è il fatto che per costruire una centrale nucleare sono necessari troppi soldi e ce ne vogliono il doppio per dimetterla. E che sono indispensabili anni per costruirla e anni anche per smontarla. Piuttosto è il fatto che come si fa a costruire una nuova centrale quando non si sa dove mettere le scorie delle vecchie? Ma, si dice, perché si sta così attenti a non costruire centrali sul suolo patrio quando siamo circondati da centrali francesi, da cui compriamo pure energia? Con questa logica potremmo continuare a ospitare le produzioni velenose di Seveso e di Porto Marghera, tanto in Slovenia si fanno ancora. Il nucleare è trascurato dal mercato e presenta problemi ambientali tali da lasciare a questa fonte solo il 6,5% del fabbisogno di energia primaria al mondo. Non si tratta di un caso.
Non bisogna disconoscere a priori i vantaggi del nucleare, cioè che non produce gas serra, inquina poco o per nulla, produce relativamente poche scorie, ce ne sono scorte sufficienti, permette ricadute scientifiche e tecnologiche di rilievo e riduce la dipendenza estera per quello che riguarda l’energia.
Gli svantaggi sono però altrettanto chiari: le scorie e i rifiuti sono sì ridotti, ma sono molto pericolosi e non perdono il loro potenziale devastante per migliaia di anni. Sono pochissimi i luoghi sulla Terra completamente sicuri per tempi così lunghi e, pure se vengono individuati, ci vogliono barriere ingegneristiche, controlli di sicurezza particolari e trattamenti inertizzanti costosi e lunghissimi. Alle scorie di combustibile, le barre di uranio, vanno aggiunti i rifiuti radioattivi che derivano dalla dismissione delle centrali che hanno terminato la loro vita o che risultano obsolete: in pratica le centrali stesse diventate ormai materiale contaminato.
Le centrali nucleari costano molto e ci vogliono tempi lunghi per costruirle (5-10 anni); hanno poi vita breve: poche arrivano ai 30-40 anni teorici e ci si attesta sui 25 anni di media. Per finire, i costi di smantellamento sono molto elevati. Per via del costo capitale, delle assicurazioni contro gli incidenti, dello smantellamento finale, dello stoccaggio e smaltimento scorie il mercato finora non ha premiato il nucleare che copre solo il 6,5% del consumo di energia primaria mondiale. Se è così vantaggioso, perché non si è diffuso maggiormente ? Solo poche persone manipolano il nucleare e ciò ingenera diffidenza nella popolazione. Non c’è consenso sociale sul nucleare: sono decine i comuni denuclearizzati in Italia e sarebbe arduo piazzare oggi una centrale in qualche provincia o comune, anche se volessimo dimenticare che nel 1987 c’è stato un referendum che ha bocciato sonoramente l’ipotesi nucleare. C’è infine un possibile uso militare che sfrutta le conoscenze acquisite nelle centrali e il plutonio prodotto dai reattori autofertilizzanti: dovunque nucleare significa ancora guerra.
Complessivamente il nucleare è bocciato non solo dalla diffidenza delle popolazioni, ma anche dai problemi che ha dovunque e soprattutto dal mercato: le grandi centrali di un tempo possono essere costruite solo in presenza di forti interventi statali che abbattano i costi elevati, interventi sempre meno possibili in regimi concorrenziali: sostanzialmente il nucleare non conviene e impedisce di sperimentare nuove fonti più sicure.
Al mondo poi non esistono ancora depositi di III categoria sotterranei definitivi: come a dire che non è ancora stata trovata una soluzione sicura per le scorie radioattive al mondo, neanche negli Stati Uniti, che hanno attualmente 103 centrali in funzione (su 123 originarie) per un totale di 30.000 tonnellate di barre di combustibile e 380.000 m3 di altri rifiuti di III categoria. Ma, a maggior ragione, come ci si comporta in un paese come il nostro in cui il 50% del territorio è a rischio idrogeologico e quasi altrettanto sottoposto a quelli sismico e vulcanico ? Inoltre c’è il problema più grave, più lungo da risolvere e più costoso, quello della dismissione stessa delle centrali, cioè del _decommissioning_, la decontaminazione, che può richiedere decenni e costa cifre iperboliche: negli Stati Uniti la centrale di Maine Yankee sarà decontaminata alla cifra di 635 milioni di dollari, quando ce ne sono voluti 230 per costruirla.
Infine, il contributo del nucleare alla lotta contro l’effetto-serra è comunque marginale, vista la scarsa diffusione di questo tipo di energia al mondo. I guadagni sulle emissioni di anidride carbonica ottenuti con il risparmio energetico sono sempre superiori a quelli legati alla produzione di elettricità per via nucleare. E ciò vale ancora di più per quei Paesi che ne hanno poco, perché dovrebbero realizzare investimenti molto più ingenti nel nucleare, piuttosto che nell’efficienza energetica, per ottenere risultati comparabili in termini di riduzioni di gas-serra. *Mario Tozzi*