Proverbio dell’Arabia Saudita: mio padre cavalcava un cammello io guido un auto mio figlio guiderà un aereo a reazione, suo figlio cavalcherà un cammello La fine del petrolio è una certezza. Prima o poi si esaurirà. Ed è altrettanto certo che si esauriranno anche carbone e gas: estrarre i fossili diventerà troppo costoso. Da questo dato ha preso le mosse la conferenza Energia, quali fonti nell’era del post petrolio? che si è tenuta nell’ambito del “Festival delle scienze 2008. CoScienza globale” in corso all’Auditorium di Roma fino al 20 gennaio. Il “picco del petrolio” è già arrivato, anzi ci siamo in pieno. La curva dell’oro nero inizia a scendere proprio tra il 2006 e il 2010. Lo assicura Ugo Bardi, fondatore della sezione italiana dell’Associazione per lo studio del picco del petrolio (Aspo). E la disponibilità di greggio scende, non perché il petrolio è finito, ma perché è terminato quello a buon mercato. “Le materie prime ci sono, è il sistema economico che è strangolato dalla mancanza di energia. In più, gestiamo male le risorse esistenti”. Nel mondo, oggi, si consumano 1000 barili di petrolio al secondo. Un dato impressionante. D’altronde, “per avere una mucca di 5 quintali servono 6 barili di petrolio”, spiega Vincenzo Balzani, Docente di chimica presso l’Università di Bologna, e cita il famoso proverbio saudita (vedi sopra). La domanda mondiale di energia cresce costantemente. E crescerà sempre più, considerando lo sviluppo economico e demografico di Cina e India. Infatti “ogni minuto, nel pianeta, nascono 24 cinesi e 32 indiani”, precisa lo studioso. Anche se, per ora, 1 americano consuma quanto 15 indiani o 30 africani. Allora come fare? La risposta degli studiosi è semplice: non potremo in alcun modo far fronte alla domanda energetica se non svilupperemo rapidamente un sistema integrato di energie alternative e non inquinanti. E per far questo bisogna inventare, scoprire, innovare, investendo in tecnologia e ricerca. Come hanno fatto in California con i pannelli fotovoltaici, per esempio, racconta Daniel Kammen, professore di energia alla Berkeley University. “Se tutti gli Stati Uniti adottassero un piano come quello avviato della California, si avrebbe una riduzione della Co2 dell’80% nei prossimi 45 anni. Anche stati come l’Arizona e il New Mexico vi stanno lavorando”. Nel frattempo, per sicurezza, bisognerà imparare a cavalcare il cammello… Ma a questo proposito siamo andati a sentire su questi scottanti temi, un esperto come *Davide Tabarelli*, presidente di “Nomisma Energia”
Flavia Marimpietri – *Il 2008 è iniziato con il greggio che ha sfondato il tetto record dei 100 dollari. Si aprono le scommesse: alcuni sono certi che tra un anno, a dicembre 2008, il petrolio sarà a 200 dollari. Lei quanto punta?*
*Davide Tabarelli* – “Io da tre anni punto a prezzi più bassi degli attuali di circa 15-20 dollari al barile, ma è tre anni che sbaglio. Posso dire che nel 2000 ero uno dei pochi che prevedeva prezzi al rialzo, ma al di sotto dei 40 dollari. In questo momento di prezzi straordinariamente alti non si può essere che ribassisti. Perché dobbiamo supporre che il mercato, se esiste, col tempo porti ad un riequilibrio. Cosa che per il momento, drammaticamente, non si vede. Per cui quando vedo 90, 95, 100 dollari al barile non mi stupisco, come non mi stupirei di 150. L’ipotesi più probabile è che scenda a 80 dollari”.
FM – *Lei ha detto che la cosa più preoccupante, quella che rende il nostro sistema economico più vulnerabile, è la rigidità sia della domanda che dell’offerta ad aggiustarsi ai segnali di prezzo. Questo cosa vuol dire, ce lo può spiegare?*
*DT* – “L’Italia è il sesto principale paese consumatore di petrolio al mondo. Abbiamo una domanda mondiale di petrolio che è rigida agli aumenti dei prezzi, cioè non da segni di voler calare. È sempre molto forte. Abbiamo un’offerta che per ragioni varie non aumenta. Un po’ perché i paesi produttori non vogliono le compagnie straniere, le Sette Sorelle, un po’ perché le Sette Sorelle, fra cui anche la nostra Eni, non investono a sufficienza. Perché fanno parte delle degenerazione finanziaria di puntare solo all’utile a breve termine. Sono necessari, invece, grandi investimenti per sviluppare più capacità produttiva e tirare fuori il petrolio che c’è. Perché ce n’è ancora moltissimo sotto terra di petrolio”.
FM – *Dare slancio alle fonti rinnovabili è una scelta strategica per motivi di sicurezza, diversificazione energetica e tutela ambientale. Ma le fonti rinnovabili non sono tutte uguali, né per costo né per ricadute sul sistema industriale italiano. Quale è l’impatto sull’economia del paese delle diverse fonti alternative e quali sono le più competitive?*
*DT* – “Per le rinnovabili, 10-20 anni fa, avevamo un problema di prezzo: costavano di più rispetto ai combustibili fossili. Oggi, invece, grazie all’aumento del prezzo del petrolio e al miglioramento tecnologico, il divario si è annullato e il loro costo si è allineato con quello dei fossili. Il problema è che gli impianti di fonti rinnovabili catturano solo una piccolissima frazione dell’energia elettrica che consumiamo, per ragioni derivate dal Secondo principio della termodinamica. In pratica, non considerando le fonti rinnovabili tradizionali come l’idroelettrico di grandi dimensioni, la quota di rinnovabili “nuove”, come eolico e fotovoltaico, non va attualmente sopra il 2%. E nei prossimi anni si spera raggiunga il 5%”.
FM – *Quindi per il raggiungimento degli obbiettivi di Kyoto arriverà prima il nucleare di IV generazione che le rinnovabili?*
*DT* – “Io credo, purtroppo, di si”.
FM – *Politica, lobby del petrolio o quelle del gas: chi frena di più le fonti rinnovabili?*
*DT* – “Io darei la colpa principale al Secondo principio della termodinamica, poi, certamente, ci sono le lobby del petrolio e del carbone”.